OPERAZIONI DI PRIVATE EQUITY

By Settembre 20, 2021economia-finanza
Come precedentemente visto affrontando la tematica del socio temporaneo, che differisce in modo sostanziale dal ruolo dell’investitore in società chiuse (a cui invece preme particolarmente la crescita aziendale perché corrisponde a una rispettiva crescita dei suoi guadagni), esistono investitori che si occupano specialmente di operazioni di private equity, in cui vengono previsti degli obiettivi da raggiungere e che sono caratterizzate dal disinvestimento imminente a medio-breve termine, generalmente riassumibile nella durata di 5 anni circa. Si capisce dunque l’importanza essenziale della possibilità di disinvestimento, che obbliga l’adozione, nel momento in cui vengano costituiti statuti o atti, dell’inserimento di clausole specifiche che lo riguardano, in modo da garantire all’investitore e all’imprenditore la cosiddetta way out. Questa viene garantita ricorrendo all’uso di alcuni strumenti come il riacquisto, da parte dell’azionista di maggioranza, della quota partecipativa, oppure attraverso la cessione dell’intero corrispettivo del capitale sociale a terzi, oppure quotando in borsa l’investimento. Sono ovviamente diversificate le possibilità di uscita da un investimento, e non sempre la stessa è totale, bensì talvolta si può ricorrere a disinvestimenti parziali, in cui l’investitore cede solo una parte delle quote azionarie di cui dispone. Allo stesso modo in cui sono presenti delle clausole di way out, similmente talvolta, per la buona riuscita di un investimento, si ricorre alla creazione di clausole di lock up, ovvero che impediscano ad alcuni soci (con un know how specifico o soci di maggioranza) di cedere le proprie quote per un periodo di tempo ben definito. Questo vincolo di mancata fuori uscita si sofferma generalmente sul raggiungimento di alcuni obiettivi, sia qualitativi che quantitativi, previsti nel business plan. Nel momento in cui si crea una situazione di collaborazione col management vanno di conseguenza definiti accordi che ne descrivano le modalità e i vincoli, esposti generalmente in una scrittura privata tra le parti. Possono essere accordi che incentivano la partecipazione consistente del manager, con obiettivi “a provvigione” in base ai risultati che vengono ottenuti, ad esempio l’attribuzione di un maggior numero di quote al corrispettivo della medesima somma di denaro se questi obiettivi vengono raggiunti. Qualora vengano quindi fissati degli obiettivi e questi vengano raggiunti (o contrariamente non si riescano a realizzare), il prezzo di cessione potrebbe essere difficile da valutare e bisogna quindi ricorrere a un accordo conciliativo che metta entrambe le parti in condizione di proseguire con l’operazione. Queste eventualità vengono comunque affrontate in uno stadio iniziale di negoziazione, perché l’elemento di potenziale rottura fra investitore e imprenditore potrebbe avvenire proprio in questa fase preliminare, atta anche ad evitare successive divergenze di idee, le incognite vengono quindi discusse prima. Ci sono diverse variabili che possono inoltre condizionare la modalità di cessione, e riguardano i soggetti destinatari delle quote; possono essere quindi create delle clausole di prelazione dove si vincola l’investitore alla cessione interna con prelazione su quella a terzi, clausole di drag along in cui qualora il socio di maggioranza riceva una offerta da un terzo, viene necessariamente coinvolto un ulteriore socio nella cessione delle quote (mantenendo le condizioni di acquisto), oppure clausole di tag along in cui qualora un socio ceda la propria quota a un terzo, deve garantire che questo soggetto compri anche la quota di un altro socio. Qualora la vendita resti interna e non rivolta a terzi, si andranno a definire le cosiddette opzioni put, che prevedono delle conditio sine qua non grazie alle quali la vendita si struttura in una precisa modalità definita da un accordo.
 

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