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LE WAY OUT

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Come precedentemente visto affrontando la tematica del socio temporaneo, che differisce in modo sostanziale dal ruolo dell’investitore in società chiuse (a cui invece preme particolarmente la crescita aziendale perché corrisponde a una rispettiva crescita dei suoi guadagni), esistono investitori che si occupano specialmente di operazioni di private equity, in cui vengono previsti degli obiettivi da raggiungere e che sono caratterizzate dal disinvestimento imminente a medio-breve termine, generalmente riassumibile nella durata di 5 anni circa.

Si capisce dunque l’importanza essenziale della possibilità di disinvestimento, che obbliga l’adozione, nel momento in cui vengano costituiti statuti o atti, dell’inserimento di clausole specifiche che lo riguardano, in modo da garantire all’investitore e all’imprenditore la cosiddetta way out. Questa viene garantita ricorrendo all’uso di alcuni strumenti come il riacquisto, da parte dell’azionista di maggioranza, della quota partecipativa, oppure attraverso la cessione dell’intero corrispettivo del capitale sociale a terzi, oppure quotando in borsa l’investimento.

Sono ovviamente diversificate le possibilità di uscita da un investimento, e non sempre la stessa è totale, bensì talvolta si può ricorrere a disinvestimenti parziali, in cui l’investitore cede solo una parte delle quote azionarie di cui dispone.

Allo stesso modo in cui sono presenti delle clausole di way out, similmente talvolta, per la buona riuscita di un investimento, si ricorre alla creazione di clausole di lock up, ovvero che impediscano ad alcuni soci (con un know how specifico o soci di maggioranza) di cedere le proprie quote per un periodo di tempo ben definito. Questo vincolo di mancata fuori uscita si sofferma generalmente sul raggiungimento di alcuni obiettivi, sia qualitativi che quantitativi, previsti nel business plan. Nel momento in cui si crea una situazione di collaborazione col management vanno di conseguenza definiti accordi che ne descrivano le modalità e i vincoli, esposti generalmente in una scrittura privata tra le parti. Possono essere accordi che incentivano la partecipazione consistente del manager, con obiettivi “a provvigione” in base ai risultati che vengono ottenuti, ad esempio l’attribuzione di un maggior numero di quote al corrispettivo della medesima somma di denaro se questi obiettivi vengono raggiunti.

Qualora vengano quindi fissati degli obiettivi e questi vengano raggiunti (o contrariamente non si riescano a realizzare), il prezzo di cessione potrebbe essere difficile da valutare e bisogna quindi ricorrere a un accordo conciliativo che metta entrambe le parti in condizione di proseguire con l’operazione. Queste eventualità vengono comunque affrontate in uno stadio iniziale di negoziazione, perché l’elemento di potenziale rottura fra investitore e imprenditore potrebbe avvenire proprio in questa fase preliminare, atta anche ad evitare successive divergenze di idee, le incognite vengono quindi discusse prima.

Ci sono diverse variabili che possono inoltre condizionare la modalità di cessione, e riguardano i soggetti destinatari delle quote; possono essere quindi create delle clausole di prelazione dove si vincola l’investitore alla cessione interna con prelazione su quella a terzi, clausole di drag along in cui qualora il socio di maggioranza riceva una offerta da un terzo, viene necessariamente coinvolto un ulteriore socio nella cessione delle quote (mantenendo le condizioni di acquisto), oppure clausole di tag along in cui qualora un socio ceda la propria quota a un terzo, deve garantire che questo soggetto compri anche la quota di un altro socio.

Qualora la vendita resti interna e non rivolta a terzi, si andranno a definire le cosiddette opzioni put, che prevedono delle conditio sine qua non grazie alle quali la vendita si struttura in una precisa modalità definita da un accordo.


 

OPZIONI ALTERNATIVE PER I FINANZIAMENTI

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Qualora un’azienda si trovasse nel bisogno di ottenere un finanziamento, sarebbe la banca il primo istituto di credito a cui penserebbe di rivolgersi. Ma quali sono le alternative a disposizione nel mondo finanziario ad oggi?
A causa della sempre maggiore richiesta di fondi da parte delle società e della conseguente minore disponibilità bancaria nell’erogazione, il Governo italiano ha acconsentito ad una serie di cambi legislativi perché fosse più semplice poter garantire del credito.
In questo modo, nel panorama delle erogazioni si sono immessi anche i fondi, diversamente sottoposti a legislazione a seconda della provenienza italiana o estera.

Le regolamentazioni affinché si possa far parte dello scenario sono tuttavia piuttosto stringenti per i fondi italiani e non tutti i fondi comuni possono parteciparci, bensì solo i “fondi di investimento alternativi (FIA) chiusi, riservati o meno ad investitori qualificati”, a ciò si aggiunge anche una necessaria diversificazione degli investimenti, in modo tale da consentire una più corretta gestione del portafogli, limitando a una quota pari al 10% l’erogazione consentita verso uno stesso ente. Un altro paletto nella gestione dell’operazione consiste nel fatto che il finanziamento non può eccedere la durata del fondo stesso; questo un chiaro provvedimento volto alla tutela dei quotisti del fondo che, al suo termine, ricevono indietro il denaro investito e i proventi delle differenti operazioni, evitando che si crei uno squilibrio nel processo di ridistribuzione del denaro. È inoltre richiesta la partecipazione dei fondi alla Centrale dei Rischi, in modo da garantire estrema trasparenza sulla posizione debitoria di quanti vengono coinvolti.

La normativa non è, tuttavia, altrettanto chiara quando si parla di fondi con sede all’estero. Ci sarebbero più norme di riferimento, non di facile consultazione, che, per via dell’estrema dispersività e opacità, potrebbero inibire le intenzioni di investimento da parte di un fondo non italiano. Si sente quindi la mancanza di una normativa esplicita.

Il fatto stesso di essersi mossi in questa direzione a livello legislativo e procedurale per ciò che concerne la disponibilità di erogazione del credito consente anche alle aziende stesse di arginare e non incrementare un fenomeno potenzialmente pericoloso come quello dello shadow banking system, e quindi il ricorso a soggetti che non sono strettamente qualificati come professionisti della finanza o intermediari bancari, ma dispongono in qualche modo delle risorse sufficienti per effettuare un’operazione del genere, senza però garantire quella messa in sicurezza necessaria sia per la parte richiedente che per la parte creditrice.

Altre alternative di finanziamento per le aziende potrebbero essere rinvenute nell’emissione di obbligazioni corporate, che vengono sottoscritte da investitori quali ad esempio fondi di private debt, e in corrispondenza del credito ricevuto vengono emesse delle cedole periodiche, stimate sulla base di rischio d’impresa che deriva dalla società che le emette.

Altre possibilità sono da ravvisare nelle obbligazioni convertibili, oppure in strumenti ibridi che ricordano delle obbligazioni in cui chi emette il credito acquisisce il diritto di partecipazione agli utili, ma senza entrare nella compagine societaria.

Un’altra metodologia che sta prendendo piede in Italia è quella invece del crowlending, in cui, attraverso delle piattaforme online, le aziende vengono messe in contatto con diversi enti creditori (da fondi a persone fisiche private) che con rapidità di risposta riescono e istituire diverse pratiche. Stessa cosa per quanto concerne l’invoice trading, sistema attraverso il cui la società beneficia del pagamento anticipato di alcune fatture.

Il sistema del credito sta dunque subendo una costante evoluzione, in accordo alle crescenti esigenze sia dei creditori che dei finanziatori, andando a modellare un sistema in costante mutamento.


 

RAPPORTO TRA PFN ED EBITDA

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Per intervenire nel piano di risanamento di un’azienda o semplicemente per meglio discernere qualora sia conveniente o meno fare un investimento, potrebbe essere utile dotarsi di uno strumento quale quello del calcolo del rapporto fra PFN ed EBITDA.
Per PFN si intende la Posizione Finanziaria Netta ovvero la somma dei debiti finanziari meno quella della liquidità. Per EBITDA (lett. Earnings before interests, taxes, depreciation and ammortization) si intende il margine operativo che deriva dai ricavi meno i consumi, i costi fissi e variabili, quelli generali e quelli amministrativi.
E il rapporto fra i due valori consente di effettuare una stima degli anni necessari all’azienda per ripagare i debiti finanziari, determinando, di conseguenza, la minore o maggiore “appetibilità” della stessa presa in questione.

Tuttavia i parametri che vengono impostati e presi in considerazione per effettuare questo calcolo possono essere differenti, a seconda per esempio della diversa origine dei debiti finanziari, cosa viene o meno considerato come ricavo, e via dicendo, e in questo modo si ottengono risultati differenti anche per la medesima azienda. È la competenza e l’esperienza del professionista che si interfaccia a questi valori a determinare la differenza di interpretazione di questi dati, in modo che possa scegliere su quale società puntare.

Stando ad una ricerca effettuata da Leanus, azienda leader che fornisce dati di valutazione e analisi di imprese, fatta a campione su un ventaglio di diverse società prese in esame è emerso come diversi score simili ottenuti da aziende molto diverse fra loro indicassero imprese “star”, ovvero le eccellenze, imprese “runners”, ovvero quelle con margine di crescita ma a rischio elevato, imprese “stuck”, sia con rischio elevato che basso margine di ricavi, e imprese “stable”, con un basso profilo di rischio, ma anche basso profilo di crescita. Ne consegue quindi che diversi sarebbero i soggetti interessati alle differenti tipologie di imprese qui prospettate, proprio perché alcuni preferiscono puntare su un’azienda innovativa ma con un rischio maggiore, o viceversa, puntare su qualcosa di più stabile e sicuro.

L’ottima qualità di sintesi di questi strumenti diventa dunque pericolo potenziale nel momento in cui lo stesso valore può andare ad indicare situazioni tanto differenti l’una dall’altra, quindi ancora una volta il dato raccolto va inserito in un contesto d’analisi personale, in un’ottica di interpretazione esperta, da qualcuno che abbia le competenze necessarie per sfruttare una conoscenza di questo tipo, senza che essa possa risultare fuorviante o possa portare, nella peggiore delle ipotesi, ad effettuare un cattivo investimento.. 


 

RIASSUNTO RAPPORTO CERVED PMI 2019

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1:
Abbiamo a disposizione dati e analisi che fotografano l’evoluzione della condizione economico-finanziaria delle PMI italiane. Per la prima volta dal 2013 gli indici di redditività sono risultati in calo.
Ad oggi abbiamo un sistema di imprese molto più solido che in passato. La disponibilità di risorse interne delle PMI è cresciuta: le aziende più solide non trovano difficoltà a reperire capitali, ma spesso preferiscono ricorrere a risorse generate internamente o a capitale proprio. In un contesto di generale debolezza le PMI si troveranno ad affrontare nei prossimi mesi un’importante discontinuità, costituita dall’entrata in vigore del nuovo Codice della crisi. Questo richiederà alle PMI ingenti investimenti per dotarsi di sistemi e competenze di risk management e per adeguare la propria governance alle nuove normative. Si tratta però di uno snodo con la potenzialità di promuovere un cambiamento profondo per le società più piccole, generalmente caratterizzate da uno scarso livello di trasparenza e di autoconsapevolezza finanziaria.

Nel 2018 e nella prima parte del 2019 la ripresa ha esaurito il suo slancio per quanto riguarda la crescita del fatturato e dei profitti.
L’analisi è condotta su 157mila società che rientrano nelle PMI, di cui 130.300 sono piccole e 26.454 sono medie. Nel 2018 la ripresa delle PMI che dura dal 2013 ha perso slancio. Il rallentamento ha riguardato tutti i settori, con l’eccezione delle costruzioni.

Le PMI hanno livelli di Mol ancora inferiori del 20% a quelli del 2007.
Per la prima volta dal 2013 gli indici di redditività delle PMI risultano in calo, si riduce la redditività netta che è passata dall’11,7% del 2017 all’11% del 2018.
L’aumento della natalità ha beneficiato dell’introduzione delle Srl semplificate, la forma giuridica che consente di iscrivere a costi molto bassi nuove imprese, una novità che ha però esaurito la sua spinta propulsiva: nei primi sei mesi del 2019 il numero di nuove aziende è in calo. Nel 2019 i fallimenti sono tornati ad aumentare, con incrementi più sostenuti nell’industria e nei servizi.

La congiuntura più debole non ha attaccato il processo di rafforzamento dei fondamentali finanziari delle PMI.
Gli score che Cerved assegna ai bilanci delle PMI riflettono questi miglioramenti strutturali: la quota di PMI con un bilancio “solido” ha raggiunto un massimo nel 2017 (56,5%); quella di PMI con un bilancio rischioso minimo al 12,1%. Questo netto miglioramento è coinciso con una fase di forte crescita della base di PMI. Nel primi sei mesi del 2019 sono tornati ad aumentare i ritardi e i tempi di pagamento delle PMI, tuttavia la presenza di aziende caratterizzate da una situazione di forte difficoltà rimane bassa. La quota di PMI che hanno avuto un upgrade del Cerved Group Score tra settembre 2019 e settembre 2018 è ai massimi e doppia il numero di downgrade. Tutta la distribuzione si sposta verso le classi meno rischiose.
I livelli di investimento delle PMI rimangono largamente inferiori rispetto a quelli pre-crisi. I dati indicano che i livelli assoluti ancora bassi delle pmi non dipendono da caratteristiche finanziarie inadeguate a supportare un maggior volume di finanziamenti. Le pmi eccellenti, se aumentassero il loro indebitamento fino a due volte l’ebitda, potrebbero finanziare investimenti per 133miliardi di euro.

Rispetto al periodo della crisi le pmi più solide non hanno difficoltà a reperire capitali, ma spesso preferiscono ricorrere a risorse generate internamente o a capitale proprio. Un altro spazio per finanziare maggiori investimenti potrebbe derivare da pagamenti più rapidi, che ridurrebbero l’esigenza per le pmi di finanziare il circolante. Ad esempio, se i tempi si uniformassero a quelli medi osservati in germania, si potrebbero liberare risorse per 181 miliardi. In particolare la possibilità di scegliere quali fatture vendere sulla base di una valutazione automatica basata sul rischio degli intestatari delle fatture, potrebbe aiutare le pmi che si trovano in un’area grigia e non riescono a ottenere credito dalle banche, ma che servono clienti caratterizzati da un buon grado di solidità finanziaria. Su questo insieme, il valore delle risorse che potrebbero essere liberate si aggira intorno ai 40 miliardi di euro.

L’economia italiana, una delle più fragili in europa, ha subito il rallentamento dell’economia tedesca, a cui è fortemente legata da catene di sub-fornitura. Le attese sono di una crescita dell’economia italiana debole, al di sotto di un punto percentuale in termini reali nel prossimo triennio. Secondo le previsioni i fatturati segneranno una netta frenata nel 2019 per poi accelerare solo leggermente nel successivo biennio.

Le pmi continueranno quindi a giocare in difesa: cresceranno pcoo ma continueranno ad evidenziare profili solidi.

Dal prossimo agosto (2020) sarà pienamente operaativo il nuovo Codice della crisi di impresa che ha introdotto le procedure di allerta per favorire l’emersione precoce di situazioni di crisi. L’obiettivo è di favorire il risanamento di imprese che versano in una situazione di crisi temporanea e di rendere più rapida e meno costosa l’uscita dal mercato di aziende che invece sono in una situazione di crisi irreversibile.

Sono stati elaborati indici puntuali, che fanno ragionevolmente presumere lo stato di crisi di un’azienda. Tra gli indici proposti particolarmente importante il DSCR (debt service coerage ratio) che si basa sulla valutazione dell’adeguatezza dei flussi di cassa per soddisfare le esigenze finanziarie dell’azienda nei successivi 6/12 mesi. Il calcolo di questo indice può richiedere l’installazione di sistemi di tesoreria, software che al momento sono diffusi in italia solo in un numero limitato di grandi società. Sono necessari ingenti investimenti in merito, per una piccola impresa i costi si attesterebbero a circa 15-20mila euro all’anno.

I vantaggi di una diffusa adozione di sistemi ERM non sarebbero limitati alla capacità di intercettare precocemente le crisi: questi sistemi garantiscono infatti importanti vantaggi alle aziende, consentendo di orientare le scelte relative agli investimenti e alle politiche di finanziamento, alla composizione delle fonti, al loro costo. Il codice della crisi offre un’occasione per formalizzare e digitalizzare le pratiche gestionali delle pmi e per migliorare la loro cultura finanziaria. Un ruolo importante potrebbe essere giocato dal sistema bancario, che potrebbe integrare nei propri sistemi di early warning gli strumenti di valutazione adottati dalle imprese per ottemperare alla riforma.

2:

Cerved dispone della più ampia banca dati esistente sui bilanci delle imprese italiane: comprende l’universo dei bilanci delle società di capitale a partire dal 1994 e i bilanci delle società di maggiori dimensione raccolti a partire dal 1982 (circa 80mila bilanci all’anno). Questi dati sono stati integrati dai 120mila bilanci 2018 depositati dalle pmi presso le camere di commercio fino alla fine di settembre 2019.

I ricavi e margini sono in lieve rallentamento. Nel 2018 si evidenzia un contenuto di rallentamento della dinamica dei fatturati nominali rispetto al 2017. Questa dinamica coinvolge in maniera trasversale tutte le classi dimensionali e tutti i settori, ad eccezione delle costruzioni. Si evidenzia un gao notevole fra la dinamica delle pmi e quelle grandi: le prime continuano a crescere a ritmi sostenuti, in linea con quelli dell’anno precedente, mentre le grandi subiscono un rallentamento marcato. In ogni caso le pmi sembrano evidenziare una maggiore capacità di contenimento dei costi operativi. Il calo più marcato del valore aggiunto si evidenzia nel settore dell’energia e utilities. I dati settoriali indicano che nel corso del decennio le performance sono state molto diversificate: le pmi che operano nei servizi generano un fatturato reale superiore a quello pre-crisi, mentre le pmi industriali si distanziano di un punto percentuale dai volumi del 2007. Per le costruzioni il fatturato reale è crollato, con una perdita di circa un quarto rispetto ai ricavi antecedenti la prima recessione. Tra 2018 e 2017 si osserva una crescita molto lenta nell’industria e servizi, leggermente più sostenuta nel settore delle costruzioni.

La crescita del costo del lavoro ha riflessi negativi sui margini operativi, che rallentano in tutte le classi dimensionali e in tutti i settori. Se le pmi riescono comunque a mantenere una dinamica positiva, le imprese grandi invertono la tendenza registrata negli ultimi anni passando in territorio negativo.

È in crescita la propensione agli investimenti. Il 2018 mostra un’ulteriore crescita della propensione all’investimento più evidente per le pmi, ma i livelli ante-crisi non sono stati ancora recueprati.

Si ridue la capacità delle pmi di generare fatturato a partire dal capitale disponibile. L’aumento del costo del lavoro, la conseguente riduzione dei margini lordi e la dinamica degli ammortamenti e degli accantonamenti di bilancio hanno prodotto, per le pmi, a una lieve riduzione dell’utile ante oneri finanziari in rapporto al fatturato.

La variazione del capitale circolante, ovvero l’incremento del valore del magazzino di beni e la gestione netta di crediti e debiti commerciali ha assorbito l’1,3% del fatturato nell’ultimo anno, a fronte del 2% del precedente. Emerge quindi che, all’uscita della crisi, le imprese italiane sono divenute più attente anche nel contenere le dilazioni e i ritardi nei pagamenti da e per i fornitori e clienti. Il saldo finanziario lordo risulta ancora positivo, quindi la necessità di fare ricorso al finanziamento esterno è alimentata solo dagli investimenti finanziari in partecipazioni e dalla variazione di altri crediti finanziari. La redditività operativa delle pmi è in lieve flessione. Il turnover, ossia la capacità di generare fatturato sfruttando le risorse a propria disposizione, è aumentato nel 2018 per le pmi, evidenziando quindi una crescita del fatturato superiore a quella degli attivi e fornendo un contributo positivo alla redditività (0,7 punti). La dinamica positiva dell’effetto turnover non riesce a controbilanciare il dato negativo dell’utile anti oneri finanziari. È in crescita il numero delle pmi in perdita. Al peggioramento della redditività media è corrisposto un aumento del numero di pmi che hanno chiuso l’esercizio in perdita. Crescono invece i debiti finanziari, i dati indicano che la ripresa degli investimenti è coincisa in italia con la fine della discesa dei debiti finanziari. Parallelamente al ritorno alla crescita del capitale di debito, prosegue il rafforzamento del capitale proprio: tutte le classi dimensionali vedono crescere il patrimonio netto, con un’ulteriore accelerazione per le pmi, che aumentano il capitale con ritmi superiori all’8%.

È stata stilata una lista di indicatori che potrebbero attivare automaticamente le procedure di allerta, questi indicatori sono: liquidità a breve termine, patrimonio netto/debiti totali, cash flow/attivo, oneri finanziari/fatturato, indebitamento previdenziale o tributario/attivo.

Si riduce il peso dei debiti finanziari in rapporto al capitale netto, continua quindi il calo del peso dei debiti finanziari in rapporto al capitale netto, favorito soprattutto dal rafforzamento patrimoniale.
Prosegue nel 2018 il calo della quota di pmi che non fanno ricorso al capitale bancario per finanziare la propria attività: si tratta di 65mila aziende, pari al 40,1% del campione, a fronte del 42,5% del 2017. Nonostante il credito sia tornato a crescere, anche in misura sostenuta, continua a ridursi la platea di pmi a cui le banche concedono credito, segno di una forte attenzione degli istituti finanziari nell’erogazione di risorse finanziarie, ma anche di un probabile ricorso a fonti di finanziamento alternative che cominciano a farsi strada nel segmento delle pmi.

Le previsioni dei bilanci delle pmi. La congiuntura economica internazionale continua a essere dominata dall’incertezza. Tra i principali timori sull’evoluzione del quadro economico internazionale permangono quelli sull’evoluzione della politica commerciale americana. Anche i recenti sviluppi sulla Brexit potrebbero causare ingenti danni alle economie dell’eurozona. Di recente si sono aggiunti l’attacco militare della turchia del nord alla siria, le rinnovate tensioni fra stati uniti e iran e gli attacchi ai pozzi petroliferi dell’arabia saudita, cui vanno aggiunte le future scadenze elettorali, in particolare le presidenziali americane dell’autunno 2020. Nell nostro paese il costo del debito è diminuito in maniera significativa dopo l’estate, con lo spread tra i btp e i bund tedeschi decennali che è tornato ai livelli del 2017. La redditività segnerà una battuta d’arresto in maniera trasversale in tutti i settori, con la parziale eccezione delle costruzioni, che dovrebbero riuscire a contenere il calo del 2019. Rispetto al 2018 si prevede una perdita del ROE dedl 2021 di 8 decimali nelle utility, nell’industria e nei servizi, di 6 decimali tra le società agricole e più ridotta nelle costruzioni.

 

3:

Nel 2018 cresce il numero di pmi ma a ritmi più deboli dell’anno precedente. L’evoluzione dello stock di pmi tiene conto dell’andamento dei flussi di quattro diverse componenti: 1-le nascite; 2-le morti, ovvero le pmi che escono dal mercato a seguito di una procedura concorsuale o di una liquidazione, oppure le imprese che non hanno presentato un bilancio (dormienti); 3-le migrazioni in entrata: società che sono entrate nel perimetro, ovvero microimprese diventate pmi e grandi che hanno ridotto la propria taglia; 4-le migrazioni in uscita, società uscite dal perimetro.

Si registra un aumento delle nate tra 2016-17 con un aumento del 23,6% su base annua, ampiamente positivo anche il saldo tra le migrazioni in entrata e quelle in uscita dal perimetro di pmi.

In base ai bilanci e ad altri dati di demografia si stima infatti che nel 2018 il numero di pmi si attesti a quota 161mila, con una crescita su base annua +2,9%. Sono però anche in aumento le pmi che escono dal mercato, +3,8%, con un saldo nate-morte che si mantiene positivo, +1097.

Nel 2018 il numero di iscrizioni totali al registro delle imprese risulta in calo del 2,4% rispetto al 2017. La crescita delle nuove società di capitale è stata favorita negli ultimi anni dall’aumento delle srl semplificate. Nel 2018 il contributo delle srl semplificate sul totale delle nascite risulta in crescita e si attesta al 44%. Nel 2018 il settore agricolo fa registrare un significativo calo delle nascite con le nuove società che si attestano su un valore vicino alle 1800.

Il capitale sociale versato dall’imprenditore al momento dell’iscrizione in camera di commercio rappresenta un indicatore del potenziale di crescita dell’impresa fondata. Le vere nuove nate con un capitale sociale versato superiore a 5mila euro sono 28mila nel 2018, i aumento del 4,3% su base annua. I dati sui bilanci delle nuove società di capitale possono essere utilizzati per ottenere delle indicazioni sulla quota di nuove imprese che riesce a sopravvivere e a radicarsi sul mercato. In particolare si considerano come sopravvissute le società che a un anno e tre anni all’iscrizione realizzano ricavi e quindi sono effettivamente attive sul mercato. Vi è un graduale aumento delle società che, a tre anni dalla nascita riescono a radicarsi sul mercato, è aumentato per il secondo anno consecutivo toccando quota 48%. Sono le società tradizionali a trainare l’andamento complessivo dei tassi di sopravvivenza, con un incremento della quota di sopravvissute che le porta dal 55,4% del 2016 al 57,8% del 2017. Le srl semplificate sono caratterizzate da tassi di sopravvivenza nettamente inferiori, anche se in leggera crescita (dal 41,7 del 2016 al 43 del 2017).

La dimensione delle nuove nate nel 2017 evidenzia andamenti contrastanti. In termini di fatturato si osserva una riduzione del valore mediano delle società di capitale, mentre prosegue l’aumento dei fatturati delle srl semplificate. I dati relativi agli oneri finanziari che hanno in bilancio le nuove imprese indicano una continua e marcata riduzione del numero di nate che sono supportate dal sistema finanziario nella loro fase di start-up. La crescita di società che riescono a radicarsi sul mercato è accompagnata da quella di nuove nate che nel giro di pochi anni riescono a superare le soglie di piccola e media impresa. Nel 2017 sono in aumento le imprese che diventeranno pmi a tre anni dalla nascita.

Le pmi fuori dal mercato. Qui si analizzano le tendenze delle pmi che escono dal mercato. Nel 2018 sono aumentate le uscite dal mercato con una leggera inversione nei primi sei mesi del 2019. Nel 2018 i dati sulle chiusure di impresa evidenziano un aumento delle pmi uscite dal mercato a seguito di una procedura concorsuale o di una liquidazione volontaria. L’andamento delle pmi uscite nel 2018 segna un’inversione di tendenza rispetto ai miglioramenti fatti registrare a partire dal 2014, ma il numero delle chiusure risulta comunque inferiore ai livelli pre crisi.

Le liquidazioni volontarie tornano ad aumentare nel 2018 stabilizzandosi nei primi mesi del 2019. L’andamento delle liquidazioni volontarie di imprese in bonis (senza procedure concorsuali precedenti) è un indicatore utile per misurare le aspettative di profitto degli imprenditori. La chiusura di un’attività in bonis è infatti generalmente legata a margini attesi giudicati non sufficienti a proseguire l’attività imprenditoriale.
Nel corso del 2018 hanno aperto una procedura di liquidazione volontaria 2.227 pmi che operano nei servizi, il 6,6% in più rispetto al 2017. Nella prima metà del 2019 si assiste invece a un calo delle liquidazioni nel settore (-2,6%) che contribuisce in maniera significativa alla riduzione delle chiusure complessive registrata nel semestre. Le costruzioni sono l’unico settore che vede ridurre il numero di liquidazioni nel 2018. Questa tendenza non si conferma nei primi mesi del 2019 che fanno registrare un incremento delle liquidazioni del 13%. Nel corso del 2018 le procedure fallimentari aperte dalle pmi sono state 1557, un dato in calo rispetto al 2017 (-4,7%) anche se con un tasso più contenuto rispetto alle riduzioni degli anni precedenti. Nel 2018 e nella prima parte del 2019 i dati relativi al numero di procedure concorsuali non fallimentari delle pmi confermano il trend di miglioramento degli ultimi anni.
Le analisi condotte da cerved sui dati del registro delle imprese indicano che nel 2018, a fronte di un aumento del numero di procedure chiuse, i tempi medi di chiusura si sono abbassati di circa 4 mesi. L’abbassamento della durata media è stato favorito da una migliore gestione degli arretrati e da interventi di tipo normativo. Nonostante ciò, dei 206mila fallimenti dichiarati dal 2001 al 2018 ne risultano tuttora aperti 86mila, pari al 41,7%. I tempi di chiusura variano molto a livello territoriale, con le regioni del nord che evidenziano performance migliori al centro e al sud. I tribunali che evidenziano tempi medi di chiusura più brevi sono crotone (3 anni e 8 mesi), bolzano (4 anni e 1 mese) e gorizia (4 anni e 1 mese). La velocità e l’efficienza dei tribunali italiani hanno importanti riflessi nell’attività di recupero crediti.

 

4:

i pagamenti delle pmi. Dopo una lunga fase di miglioramento, nel corso della prima metà del 2019 sono tornati a crescere i ritardi e i tempi medi di evasione delle fatture delle pmi.
Payline è un database proprietario che raccoglie le abitudini di pagamento di più di 3 milioni di imprese italiane. Ogni mese 1680 società contributrici inviano a cerved un flusso di informazioni relative alle anagrafiche dei loro clienti e la relativa movimentazione contabile. Le informazioni sono aggregate, incrociate ed integrate con altri archivi proprietari. Tra il 2017 e il 2018 i crediti e i debiti commerciali delle pmi sono aumentati rispettivamente del 2,1% e dello 0.9%. il valore complessivo dei crediti commerciali è tornato molto vicino ai livelli pre-crisi mentre i debiti commerciali delle pmi rimangono leggermente più distanti dai valori del 2007. Nel 2018 la quota di fatturato finanziata con i debiti commerciali segue una dinamica molto simile, con tutti i settori che evidenziano un andamento più contenuto di quello dei ricavi. Nel comparto dell’energia e delle utility la riduzione della quota dei debiti commerciali è la più marcata e passa dal 21,6% del 2017 al 20,1% del 2018, l’industria si attesta nel 2018 al 20,9, le costruzioni fanno registrare una discesa dal 29,4 al 28,7.

Sono in leggero aumento i tempi concessi alle pmi per saldare le fatture. Per ogni fattura registrata payline raccoglie informazioni sui tempi di pagamento concordati fra cliente e fornitore, ovvero sul credito commerciale concesso al cliente, una leva fondamentale per la gestione della liquidità e del capitale circolante di un’impresa. Nel corso dei primi due trimestri del 2019 si è interrotto il trend di riduzione dei termini concordati delle pmi che aveva caratterizzato gli ultimi tre anni. In base ai dati, a giugno 2019 i giorni concessi alle pmi per liquidare le fatture sono in media 59,3, aumentando quasi di un giorno rispetto ai 58,4 di giugno 2018. Le grandi imprese, che strutturalmente godono di scadenze più lunghe rispetto alle pmi, fanno invece registrare una dinamica diversa, proseguendo la discesa e portando i termini concordati a una media di 65,9 giorni, quasi una settimana in più rispetto alle pmi. Si è ridotto il numero di pmi che pagano in tempi brevi. L’aumento delle scadenze concordate ha coinvolto sia le piccole che medie imprese. Tra giugno 2018 e 19 i termini concordati sono aumentati mediamente di un giorno per le piccole e di 0.9 per le medie. Il divario dimensionale tra le imprese, speso associato a un differente potere negoziale si traduce in termini di scadenza più vantaggiosi per le società di maggiore dimensione. In alcuni comparti, come nell’edilizia, il ciclo produttivo richiede tempi più lunghi e utilizza maggiormente la leva del credito commerciale. I ritardi accumulati sul pagamento di una fattura possono essere interpretati come un segnale anticipatorio di situazioni di difficoltà finanziaria da parte di un’impresa. In altri casi il ritardo del pagamento di una o più fatture può rientrare nelle politiche aziendali di gestione della liquidità. I ritardi sono in aumento. Il differenziale tra pmi e grandi imprese deriva dalla possibilità per le aziende di maggiori dimensioni di ritardare strategicamente il pagamento delle fatture facendo leva su un maggiore potere negoziale. Tra le grandi imprese, infatti, solo il 9,9% salda le fatture con puntualità, contro il 26,1% delle medie imprese e il 43,7% delle piccole imprese.

Tempi di pagamento delle pmi in crescita nel 2019. Il tempo complessivo che intercorre tra la consegna della merce e il pagamento della fattura è la risultante dei termini concordati con il fornitore, ovvero il credito commerciale concesso esplicitamente, e degli eventuali ritardi che l’impresa accumula: sommando le due componenti si ottiene il credito commerciale di cui effettivamente gode un cliente. I tempi medi con cui le pmi saldano le proprie fatture sono risultati in calo fino alla fine del 2018, grazie sia a una riduzione delle scadenze concordate sia a una riduzione dei giorni di ritardo. Nel 2019 i tempi di pagamento hanno però ripreso ad aumentare. L’incremento ha riguardato sia le piccole che medie e grandi imprese. Tuttavia una grande azienda può liquidare una fattura quasi due settimane dopo rispetto a una piccola società e dopo 10gg rispetto a una media impresa. I tempi di liquidazione delle fatture divergono a seconda del settore delle pmi: le imprese operanti nell’ambito di attività economiche caratterizzate da un ciclo produttivo più lungo di solito impiegano più tempo per liquidare le loro fatture. Nonostante un aumento dei tempi di pagamento di 1,4 giorni, le pmi operanti nel comparto dell’energia e utility si confermano come le più rapide a liquidare le fatture evidenziando valori molto bassi rispetto alla serie storica. 

I tempi di attesa per i crediti commerciali e i tempi di pagamento delle imprese sono stati analizzati attraverso due indici finanziari: i giorni di dilazione media concessa ai clienti e i giorni di dilazione media ottenuti dai fornitori. Dalla ricerca emergono i seguenti risultati: negli ultimi anni si assiste a una generale contrazione dei tempi di incasso e di pagamento; vi è una eterogeneità fra paesi dei tempi medi di pagamento anche all’interno dei singoli settori ma con elementi comuni: le costruzioni necessitano di tempi lunghi, il commercio brevi; l’italia rimane il paese che presenta i tempi di incasso e pagamento più elevati. La germania nel 2017 risulta essere quello coi tempi di dilazione più bassi. L’analisi dei giorni di dilazione ottenuta dai fornitori indica che in tutti i paesi (eccetto la turchia) i tempi medi di pagamento dei debiti commerciali sono più elevati rispetto ai giorni di dilazione concessa ai clienti, è l’italia a evidenziare gli indici più alti.

Crescono i mancati pagamenti tra le pmi: la quota ritorna a salire a fine 2018, salendo ancora nel 2019. L’eccessiva durata dei giorni di credito rappresenta un fattore critico soprattutto per le imprese piccole che scontano tempi più lunghi a causa di margini competitivi e negoziali meno favorevoli rispetto alle imprese strutturate. Le imprese caratterizzate da livelli di rischio più elevato sono quelle che scontano maggiormente gli effetti dell’eccessiva lunghezza dei tempi di incasso delle fatture e che potrebbero beneficiare dall’impiego di nuove risorse per far fronte alla carenza di liquidità a breve termine e migliorare la loro solidità finanziaria e patrimoniale. Un abbassamento complessivo dei giorni di credito ai clienti potrebbe quindi avere degli effetti importanti sul sistema economico, liberando risorse finanziarie da destinare a nuove transazioni commerciali, a investimenti, alla gestione operativa o al ripianamento dei debiti.

 

5:

la solidità finanziaria delle pmi consentirà una riduzione dei tassi di ingresso in sofferenza, che sono attesi in calo nel triennio 2019-2021. Gli score e i rating creditizi di cerved forniscono un giudizio sintetico sull’affidabilità creditizia delle aziende e sono ampiamente utilizzati nel nostro sistema economico nella valutazione della concessione e delle condizioni dei prestiti di natura finanziaria o commerciale delle imprese. Gli score ed i rating cerved sono emessi per tutte le imprese italiane e consentono quindi un’analisi complessiva ed articolata del profilo di rischio delle pmi. I modelli statistici su cui si basano questi giudizi prevedono infatti il calcolo di valutazioni parziali riferite a singoli fattori d’analisi, fino ad arrivare ad uno score denominato Cerved Group Score (CGS) che rappresenta un giudizio del merito di credito dell’azienda che tiene conto del contributo di tutte le valutazioni parziali. Il cgs si basa su due valutazioni principali. In primis il cebi-score-4, una componente economico finanziaria che integra uno score economico finanziario, una componente sistemica, formata da variabili strutturali, macroeconomiche, territoriali e settoriali, incorporate da valutazioni in termini previsionali e dinamici. In secondo luogo, lo score comportamentale, che integra segnali che arrivano dal mercato e che possono dare un contributo rilevante alla valutazione complessiva dell’azienda. Le variabili comportamentali analizzate comprendono dati di fonte pubblica e informazioni proprietarie. Il cgs esprime la valutazione puntuale del merito creditizio di un’impresa.

Gli score economico-finanziari calcolati da cerved sulla base delle variabili di bilancio misurano la solidità strutturale delle pmi italiane, intesa come la capacità di generare flussi di cassa sufficienti per rimborsare i debiti contratti. Nelle scorse edizioni del rapporto, i dati relativi al profilo economico-finanziario delle pmi hanno evidenziato un chiaro rafforzamento strutturale.

I nuovi dati confermano un aumento del numero delle pmi e una maggiore solidità finanziaria. Questa favorevole tendenza demografica è accompagnata da un miglioramento di profilo di rischio: cresce ancora l’area di solvibilità, in cui si colloca ormai più di una pmi su due, e si riduce specularmente l’area di rischio. Il miglioramento del profilo economico finanziario delle pmi può riflettere effetti demografici, effetti dimensionali o cambiamenti nel profilo di rischio delle pmi. L’aumento del numero di pmi registrato tra 2016/17 è dovuto principalmente a una positiva dinamica dimensionale: il saldo tra microimprese cresciute fino a pmi e pmi che sono diventate micro è positivo di 7k unità. Positivo anche il saldo tra pmi entrate e uscite dal mercato (+1k) e pressoché nullo il saldo migratorio da e verso grandi imprese. L’aumento del numero di pmi tra 2016/17 si è riflesso in un aumento del numero di pmi solvibili, cioè società con bilancio particolarmente solido. Il numeri di pmi rischiose tra 2016/17 si è ridotto a 1812.

Si riduce il gap con le grandi imprese, ma la distanza resta ampia. I miglioramenti dei profili economico-finanziari osservati nel corso degli ultimi anni hanno riguardato, anche se con intensità diverse, tutte le fasce dimensionali. I dati indicano che nella fascia delle grandi imprese l’area di solvibilità è aumentata ulteriormente nel 2017, arrivando a superare il 66%. Il profilo è più solido di quello delle pmi ma rispetto al 2012 i divari si sono ridotti per quanto concerne le imprese rischiose. Nel 2017 il 55,4% delle piccolee società sono classificate in aree di solvibilità, in aumento di oltre 3 punti percentuali rispetto all’anno precedente -52,3%. La presenza di imprese rischiose è scesa al 12,5% tra le piccole società, praticamente dimezzandosi rispetto ai livelli del 2012. I dati indicano dunque che le condizioni economiche generali hanno determinato le tendenze di fondo, comuni a tutte le fasce, di miglioramento nel profilo di rischio. L’industria è stato il settore trainante della ripresa, che è passata attraverso il rafforzamento delle pmi, da un lato, e l’uscita dal mercato delle aziende più fragili dall’altro. Anche i servizi presentano un andamento analogo, hanno sperimentato un processo di ristrutturazione che ha consentito un miglioramento del profilo economico-finanziario. Le costruzioni si confermano il settore più fragile. L’arresto del mercato immobiliare in presenza di molti cantieri ancora aperti aveva avuto effetti devastanti, a questo si sono aggiunte le difficoltà create dalla carenza di risorse degli investimenti pubblici e dalle modifiche del codice appalti. Non va dimenticato che le costruzioni sono il settore in cui il processo darwiniano di uscita dal mercato delle imprese più fragili è stato i più marcato. Considerazioni diverse per il settore agricolo, si osservano differenziali di crescita e rischiosità significativi, legati alla presenza delle imprese nelle aree di eccellenza della produzione agroalimentare o in segmenti meno redditizi. Il risultato finale è un miglioramento complessivo del profilo di rischio, ma a ritmi deicsamente più lenti rispetto al resto delle pmi.

Gli score economico-finanziari sono uno strumento potente per spiegare l’evoluzione del rischio di credito delle pmi e, soprattutto, per cogliere l’effetto di fenomeni strutturali, come l’aumento del grado di capitalizzazione delle imprese e la conseguente riduzione dei debiti finanziari sulla composizione dell’attivo. Il cgs consente infatti di tener conto delle evoluzioni più recenti e di avere indicazioni prospettiche del rischio delle imprese; infatti integra i dati di bilancio e una valutazione strutturale dell’azienda con una componente andamentale, alimentata da dati pubblici e dalle banche dati proprietarie cerved, che consente di cogliere tempestivamente i segnali provenienti dal mercato e le tendenze in atto. Il cgs offre una valutazione dell’affidabilità creditizia di un’impresa, intesa come la probabilità che l’impresa registri un evento di default nei 12 mesi successivi alla valutazione. A settembre si osserva un saldo positivo fra miglioramenti e peggioramenti del cerved group score 2019 per il quinto anno consecutivo. I bilanci indicano che, nonostante la redditività abbia interrotto il suo graduale recupero del 2018, le pmi risultano più patrimonializzate e con un’incidenza degli oneri finanziari ai minimi nel corso del decennio; le attese sono di un ulteriore rallentamento dei conti economici nel 2019 che però non dovrebbe interrompere il rafforzamento strutturale delle pmi. Tuttavia sia le tendenze relative alla demografia sia quelle relative ai pagamenti non risultano critiche.

In base agli ultimi dati, circa un terzo delle pmi si colloca nell’area di sicurezza, con un aumento di circa cinque punti percentuali rispetto all’anno precedente. Stabile anche l’area della sicurezza, in ulteriore riduzione l’area della vulnerabilità e del rischio.

Per le piccole società i crediti hanno continuato a contrarsi. In base al cgs a settembre 2019 esistono 100mila pmi che si collocano nell’area di solvibilità o sicurezza, alle quali è attribuita una probabilità di default a un anno non superiore al 3,5%. Si tratta di imprese solide, tra le quali molte potrebbero avere la struttura finanziaria adatta per aumentare gli investimenti incrementando il proprio grado di indebitamento, pur mantenendo un grado di rischiosità estremamente contenuto. Il rapporto debiti finanziari netti/ebtda è spesso impiegato per classificare il livello di indebitamento delle imprese: solitamente, un valore del rapporto inferiore a 2 indica un livello di indebitamento non elevato e facilmente sostenibile. I dati indicano che oltre la metà delle pmi in area di solvibilità e sicurezza (67k) hanno un rapporto tra debiti ed ebitda inferiore a 2, con una netta maggioranza di piccole imprese (56k). Se i debiti finanziari di queste aziende aumentassero, fino a raggiungere il rapporto di 2 volte l’ebitda, l’indebitamento potrebbe crescere di 133miliardi di euro, con incrementi molto simili per le piccole e medie.

Gli score individuali che cerved calcola sulle imprese italiane, integrati in una suite di modelli statistici con gli andamenti macroeconomici, permettono di combinare la rischiosità dell’azienda con quella legata al contesto economico. Gli andamenti per dimensione di impresa indicano che i miglioramenti hanno riguardato le pmi e le microimprese ma non le grandi, e confermano la correlazione negativa tra dimensione e rischio di credito che emerge anche dai valori della distribuzione per classi e aree di rischio del cgs. Nonostante il miglioramento dei fondamentali economici e del profilo di rischio delle imprese, i tassi di ingresso in sofferenza rimangono a livelli superiori rispetto a quelli pre 2008. Questo è in parte attribuibile al lag temporale tra il momento in cui un’azienda mostra i primi segnali di difficoltà e il momento in cui si apre la segnalazione della sofferenza. In parte alla riduzione della platea di società affidate al sistema bancario. La rischiosità delle imprese, è strettamente legata al settore di appartenenza.

Vi è in atto una transizione verso un’economia a più basso livello di emissioni e climaticamente resiliente. Sono stati individuati dei settori target che possono contribuire in modo determinante alla climate change mitigation e adaptation senza entrare in contrasto con gli altri obiettivi ambientali dell’unione. La selezione dei settori target è stata effettuata tenendo conto delle emissioni di CO2 a livello settoriale e di quanto investire in una determinata attività possa costituire un fattore abilitante per la riduzione di emissioni in altri settori. Tra i settori inseriti all’interno della tassonomia vi sono 3 diverse tipologie di attività: a bassa emissione di carbone (greening activities), per le quali si incentivano maggiori iniezioni di capitale al fine di diffondere il loro sviluppo a livelli più ampi; attività ancora lontane dagli obiettivi di riduzione di emissioni, il cui apporto è però considerato cruciale nel contribuire a una transizione ecologica del sistema produttivo (greening of activities).

In termini di rischiosità, misurata attraverso cgs, il 40,4% delle imprese operanti nei settori della tassonomia è in area di vulnerabilità o di rischio cgs, un dato che equivale al 38,3% considerando le microimprese, al 41,2% per le pmi e al 21,4% per le grandi imprese. Le pmi che dovranno effettuare investimenti per addattarsi al cambiamento climatico sono più rischiose rispetto al complesso delle imprese della stessa fascia dimensionale.


 

LA VENDITA AD ASTA DEL VINO

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Le aste sono una piattaforma di vendita che da sempre è al servizio della diffusione di eccellenze: opere d’arte, oggetti da collezione, rarità.

Fra queste rarità, anche il vino ha la sua importanza, e in un momento come quello attuale, in cui i vari lockdown e restrizioni cautelative hanno notevolmente impattato l’andamento del mercato, diversi sono i venditori che si sono approcciati a questo canale come possibile alternativa, proprio perché l’asta non necessita obbligatoriamente di essere condotta in presenza, bensì riesce ad esprimersi al meglio delle proprie potenzialità anche online, essendo gestita da remoto.

Basta pensare a chi opera nell’hospitality, che ha dovuto fronteggiare l’assenza di clienti imposta dalle chiusure, perdendo una significativa quota di fatturato. Il mercato si evolve per cercare di restare al passo con la situazione corrente e il boom delle piattaforme online è ormai una certezza.

Aumenta quindi il bacino dell’offerta, sempre sottoposta a controlli rigidi che certificano la qualità dei lotti, consentendo un’apertura del mercato che ne garantisce una rinnovata varietà.

Non sono solo i venditori ad essere rimasti a casa e a essersi dovuti ingegnare, ma anche i consumatori: avendo più tempo libero a disposizione che hanno trascorso all’interno della propria abitazione,  hanno contribuito alla consolidazione di un mercato che era già in crescita, determinando l’ascensione di un trend recante un segno decisamente positivo.

Oltre ad essersi allargato il bacino di venditori e quello di clienti, si è allargata anche l’offerta, che si diversifica adesso anche per range. L’asta potrebbe essere quindi anche una interessante soluzione alternativa per quelle cantine che hanno un sovrastoccaggio da smaltire, e la vendita di interi lotti potrebbe essere una prospettiva appetibile, sia per gli acquirenti che acquistano a prezzo agevolato, che per i venditori, che recuperano spazio fisico utile alla nuova produzione e creano liquidità immediata, in modo da sopperire alle impellenze finanziarie.

La classica vetrina in vetro viene opportunamente coadiuvata dallo schermo di pc e smartphone, che di questi tempi rappresentano una soluzione sempre più valida in termini di produzione di fatturato.
La situazione imposta dalla pandemia ha sicuramente dato una forte spinta alla creazione di un nuovo scenario di mercato, i cui futuri sviluppi e peculiarità sono ancora tutti da osservare.


 

INTELLIGENZA COMPETITIVA

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L’intelligenza competitiva è una serie di attività di ricerca il cui studio consente il miglioramento di un’azienda, prendendo in considerazione i competitors, i leader di mercato, e via dicendo. Queste informazioni vanno a supporto delle decisioni aziendali, ed influenzano il marketing, le scelte distributive e di produzione. Ci si appoggia di solito a software di business intelligence per il reperimento di queste informazioni. Bisogna articolare il processo di raccolta e organizzazione dei dati in step: 1) studio ed indirizzamento degli obiettivi aziendali da parte dei decision makers, 2)raccolta delle informazioni sull’ambiente esterno all’azienda, 3)analisi ed interpretazione di tali informazioni, 4)elaborazione e stesura delle operazioni suggerite dai risultati dell’analisi, 5)comunicazione ai decision makers dei risultati ottenuti.

Sono dinamiche e processi fondamentali per non subire le variazioni di mercato ma essere in grado di prevederle e cavalcarne l’onda. Fondamentali sono le strategie di marketing, il lancio di nuovi prodotti in base alle esigenze e ai trend riscontrati nella clientela, il miglioramento dei prodotti già esistenti. Ci sono dei professionisti che svolgono questo ruolo di ricerca all’interno delle aziende, oppure ci si può rivolgere a piattaforme esterne. Queste analisi di mercato sono in grado di evidenziare punti di forza e di debolezza dell’azienda e ne consentono il miglioramento. Si tengono in considerazione i parametri della clientela come la fascia d’età, il genere, il gruppo di etnia d’appartenenza.


 

RATING

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Rating: cerved

Il cerved group rating è un giudizio sintetico sul grado di solvibilità di un’impresa e valuta la capacità dell’impresa stessa di generare risorse sufficienti a ripagare i propri creditori. Il rating misura la probabilità che l’azienda valutata possa registrare in futuro un evento di default, ossia possa non far fronte alle proprie obbligazioni finanziarie.

È una valutazione del merito di credito di un soggetto assegnata da analisti specializzati, nella quale il giudizio degli analisti, supportato da informazioni e score quantitativi, è l’elemento prevalente. Si definisce invece score una valutazione automatica del merito di credito ottenuta grazie all’impiego esclusivo di modelli statistici.

Il cerved group rating utilizza le informazioni pubbliche e quelle proprietarie di cerved group sul soggetto analizzato, è espresso su una scala di 13 classi, è emesso su società non finanziarie italiane, può essere richiesto sia dal soggetto valutato che da terzi.

La metodologia di assegnazione del rating e i modelli statistici sono specializzati in funzione della dimensione  e della forma giuridica del soggetto valutato, ciò consente di tenere conto del diverso profilo di rischio riscontrato, perché tendenzialmente aziende di maggiori dimensioni presentano in genere un livello di rischio inferiore.

Il modello di valutazione si articola in due distinte aree di analisi:

-le informazioni quantitative, costantemente aggiornate (quando compare un nuovo bilancio, segnalazione di pregiudizievole, nuovo protesto) e misurano il profilo di rischio economico finanziario e comportamentale dell’azienda;

-il giudizio qualitativo espresso dall’analista che si basa sull’esame di dati e delle valutazioni elaborate dal modello statistico, oltre che su dati quantitativi acquisiti da cerved rating agency.

La valutazione del modello statistico viene consultata dall’analista che esprime il suo giudizio, questo può differire marcatamente da quanto elaborato dal modello.

Le informazioni prese in considerazione sono principalmente bilanci aziendali, ovvero fonte di analisi del profilo di rischio economico-finanziario e circa le strategie aziendali, vengono consultati anche bilanci consolidati e relazioni semestrali; informazioni anagrafiche e societarie, eventi negativi ufficiali sull’impresa e sui soggetti correlati, regolarità dei pagamenti, scenari di settore storici e previsionali, rassegna stampa nazionale e locale.

Qualora il rating venga richiesto dall’azienda il set è arricchito di dati forniti dall’azienda stessa. L’analista valuta sia la disponibilità sia il grado di aggiornamento delle informazioni. Tutte le informazioni pubbliche sono costantemente monitorate.

La valutazione quantitativa è basata sul CeBi-Score 4 che fornisce una misura predittiva del profilo di rischio economico-finanziario dell’impresa, collocata nel suo settore di riferimento.
Il CeBi-Score 4 è composto da modelli specializzati per settore di attività, anzianità dell’impresa, numero di bilanci disponibili. Le principali aree di analisi sono: cash flow, redditività e qualità degli utili, peso degli oneri finanziari e servizio del debito, struttura finanziaria e composizione temporale del debito, equilibrio finanziario e liquidità, crescita, volatilità dei redditi e del cash flow, struttura operativa.

Vengono analizzate le caratteristiche anagrafiche e qualitative aziendali, si considerano l’area geografica, il settore di attività, la dimensione e anzianità dell’impresa, la composizione, il management, la plurilocalizzazione. Si tiene conto di eventi negativi come fallimenti, procedure concorsuali, protesti e pregiudizievoli. È l’analista a verificare l’adeguatezza delle variabili di input ed esprime una valutazione sulla capacità del valutato di stare sul mercato onorando i propri debiti.

Il processo di assegnazione del rating è il seguente: l’analista esamina le informazioni e verifica il valore dello score automatico e dei singoli grading, esprime la sua valutazione sul soggetto secondo protocolli normati in cui l’attenzione è massima circa il confronto fra il valutato e le tendenze settoriali, il giudizio espresso viene combinato con lo score attraverso un sistema di matrici di compatibilità che generano un rating preliminare, l’analista interviene con correzioni ed elabora il rating finale, questo viene a sua volta sottoposto al vaglio di un supervisore.

Tutti i rating sono sottoposti a monitoraggio e a revisione con cadenza annuale attraverso l’attivazione di trigger automatici a seguito dell’aggiornamento del set informativo, a seguito della ricezione di notizie circa eventi particolari da parte degli analisti.

Anche il modello di rating è sottoposto a un processo di verifica che ne valuta la stabilità nel tempo e la qualità della performance predittiva.

I rating di credito possono essere utilizzati per valutare debiti sovrani, titoli obbligazionari, imprese, istituzioni finanziarie, prodotti di finanza strutturata. I rating di cerved sono pubblici e riconosciuti a livello nazionale e internazionale (ESMA: European Securities and Markets Authority).

Le regole di Basilea spingono le banche a concedere crediti alle imprese che hanno un rating migliore, proprio perché il rating funge da garanzia. Vi sono 13 classi di rischio, dalla più rischiosa alla più sicura. Il database su cui si appoggia Cerved consta di bilanci dal 1982, informazioni camerali, dati ipocatastali registro del territorio, abitudini di pagamento, cassa integrazione, intervista alle imprese, notizie di stampa, gruppi di impresa, scenario macroeconomico. Nonostante la crisi l’Italia mantiene un nocciolo duro di società che meritano credito, tra cui molte PMI.

Qualora venga richiesta l’elaborazione di un rating da parte dell’azienda, essa dovrà fornire un bilancio, se non già depositato, un business plan e/o budget, un piano finanziamenti in essere, un prospetto centrale rischi, un elenco fornitori e principali clienti, i concorrenti principali, certificazioni e licenze, un organigramma, i cv delle figure chiave aziendali.

Il rating è composto da 3 sezioni principali:

-rating: comprende un rating alfanumerico, la probabilità di insolvenza, il giudizio complessivo di supporto e l’analisi tendenziale del rating

-informazioni: sezione in cui sono riportate le informazioni raccolte dall’analista da fonti interne cerved e dall’azienda

-valutazioni: valutazioni dell’analista in termini di punti di forza, di debolezza, circa il rating e la probabilità di insolvenza, indici sintetici, razionali qualitativi, commenti, analisi a scenario.

Il rating può agevolare per ottenere del credito bancario aggiuntivo, per rinegoziare durata e costi del proprio finanziamento, per trovare nuovi finanziatori, per ottenere condizioni più vantaggiose dai fornitori, per concludere accordi con partner esteri, per vincere gare d’appalto. È uno strumento che parla lo stesso linguaggio della banca, certifica il miglioramento di aziende che sono state ristrutturate con successo, la solidità e la capacità di onorare i pagamenti, è una sorta di passaporto internazionale.

Cerved interviene anche nel settore dei prestiti obbligazionari emessi da imprese italiane non quotate, detti anche Minibond. I maggiori clienti dell’azienda sono gestori di fondi o banche impegnate nella strutturazione e collocamento dei minibond, oltre ad essere impegnata in un promettente dialogo con investitori esteri.

 

CRIF: crif rating methodology

Per rating si intende un parere relativo al merito creditizio, inclusa la valutazione dell’affidabilità creditizia o giudizio sul merito di credito futuro (in termini relativi) emesso da CRIF in relazione ad un’entità, impegno di credito, un titolo di debito o un’obbligazione finanziaria assimilabile, utilizzando un sistema di classificazione in categorie di rating stabilito e definito. Esprime l’opinione di CRIF sulla capacità del soggetto di onorare pienamente e in modo puntuale le obbligazioni finanziarie. Esprime il parere di crif circa il livello di rischio dello strumento di debito e il tasso di perdita atteso in caso di default. Il rating può essere solicited, se richiesto dall’entità valutata o da un soggetto rappresentante, e unsolicited se non lo è. Ci sono diverse gradi di privatizzazione dell’informazione a seconda se si sceglie il rating solicited privato monitorato, aggiornato costantemente e fornito solo all’azienda in qualità di utente, rating solicited privato non monitorato, che non è aggiornato.

Qualora emergano circostanze potenzialmente impattanti sulla valutazione che richiedano approfondimenti, un rating viene posto in CreditWatch, ciò può implicare una sua revisione, in positivo, negativo o semplicemente in evoluzione. CRIF conta 17 classi di rischio.

Il processo di attribuzione consta di questi passaggi: verifica di possibilità di emettere un rating sulla controparte, acquisizione di dati e informazioni necessarie, analisi del business risk e del financial risk, predisposizione della proposta di rating da parte di un analista del Corporate Ratings Department, emissione del rating deliberato dall’organo competente.

L’emissione del rating prevede l’analisi di diversi ambiti quali overview, business risk, financial risk. Per ogni ambito è previsto un percorso di valutazione che parte dall’esame della documentazione a disposizione di CRIF, completata da integrazioni e incontri con figure chiave dell’impresa. Vengono analizzate inoltre la mission aziendale e la sua strategy, la storia dell’impresa e la sua evoluzione, chi sono le figure chiave e il perimetro di gruppo.

L’analisi del business comprende il rischio in termini di fattori strutturali e congiunturali, le prospettive e il potenziale impatto sulle performance del soggetto valutato, il settore di attività dell’impresa, il posizionamento competitivo e il grado di pressione concorrenziale, le strategie di business in termini di coerenza, la trasparenza. Fattori chiave sono anche l’equilibrio della struttura finanziaria, la politica dei dividenti e le strategie di crescita e la capacità dimostrata di condurre l’impresa e affrontare situazioni di criticità. L’analista valuta il rischio finanziario al fine di rappresentare l’andamento economico, patrimoniale e finanziario della società. Attraverso l’analisi e la consistenza dei flussi di cassa, dei principali indici finanziari, delle fonti di liquidità, si determina la sostenibilità finanziaria della società e la sua possibilità di onorare impegni futuri.

 

LA PROSPETTIVA DELLE BANCHE:
l’accordo di Basilea è l’accordo sui requisiti patrimoniali delle banche, illustra la metodologia che devono adottare per calcolare i propri requisiti patrimoniali minimi in relazione ai rischi inerenti la loro attività. Ogni volta che la banca concede un prestito è necessario che accantoni un parte del suo patrimonio qualora si verifichi la possibilità che il prestito non venga rimborsato. L’accordo di Basilea nasce nel 2008 per garantire maggiore solidità ed efficienza al sistema bancario, prevede la possibilità di valutare più accuratamente il rischio di un singolo prestito e di differenziare gli accantonamenti patrimoniali in funzione della sua rischiosità.

Ogni banca costituisce un proprio sistema di valutazione scegliendo fra il metodo standard e un metodo basato sui rating interni (IRB), nel secondo è la banca ad attribuire, attraverso i propri modelli d’analisi autorizzati da banca d’Italia, un rating all’impresa. Ovviamente anche per le banche il rating è uno strumento essenziale nella valutazione del profilo del rischio di credito.

I fattori di rischio sono: la probabilità di insolvenza del creditore, la perdita attesa nel caso di insolvenza, ovvero la misura della parte di credito che la banca pensa che sia possibile perdere nel caso di insolvenza al netto dei recuperi, l’esposizione al momento di insolvenza e la vita residua del debito.

Nella determinazione del costo di finanziamento devono essere considerati i costi di funding, quelli interni di gestione, valutazioni di carattere commerciale, il costo della perdita attesa e il costo della perdita inattesa (detta anche costo del capitale assorbito). I dati di bilancio più importanti per le banche sono il grado di indebitamento, il livello di liquidità, la redditività. Per quanto riguarda le informazioni di carattere qualitativo più rilevanti, parliamo di assetto giuridico e societario dell’impresa, sistema di governance, presenza di competenze finanziarie sviluppate dal management, presenza di sistemi di controllo interni, qualità del management, presenza di piani industriali e strategie commerciali, fattori di rischio.

Vengono valutate la dimensione geografica del mercato, il numero e la tipologia dei concorrenti d’impresa, il numero e la stabilità dei clienti, la quota di mercato posseduta, i prodotti con cui l’impresa è presente nel mercato, l’utilizzo di un marchio proprio, la distribuzione diretta o indiretta dei propri prodotti. Ovviamente il rating non è affatto immutabile.

Il rischio di credito può essere attenuato grazie al ricorso a strumenti quali garanzie, che rappresentano una diminuzione del requisito patrimoniale.

I Confidi sono essenziali in questo ambito, in quanto organismi senza scopo di lucro che svolgono l’attività di garanzia dei fidi e favoriscono l’accesso al credito bancario alle PMI a condizioni migliori di quelle che potrebbero ottenere in autonomia. I Confidi assicurano una maggiore trasparenza nel rapporto tra banca e impresa, si qualificano come importanti strumenti di politica industriale.


 

ANALISI DI BILANCIO

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cos’è un’analisi di bilancio: è uno strumento molto utile per ridurre i tempi di valutazione di un’azienda, specie se ci si appoggia a siti che forniscono servizi ad hoc come Leanus poiché, avendo un database in costante aggiornamento, forniscono delle fotografie precise e in linea con la realtà della situazione economico-finanziaria di un’azienda. L’analisi di bilancio comprende il profilo economico, patrimoniale, finanziario, gli indici di bilancio, gli indicatori della crisi, i KPI settoriali, il DSCR, il fido consigliato e la capacità di indebitamento, la fascia MCC e la centrale rischi. L’analisi di bilancio è strettamente legata alla contabilità finanziaria aziendale.

L’analisi può essere statica o dinamica, a seconda che si basi sullo studio di indici e margini o flussi. L’analisi parte dall’individuare se l’azienda sia in positivo, e quindi se i ricavi riescono a coprire i costi. Bisogna inoltre tenere conto del tempo richiesto dalla produzione per la creazione del bene e del tempo di incasso, in modo da poter stabilire la grandezza del fatturato. È importante dotarsi di più analisi di bilancio per ottenere un quadro il più completo possibile. “Si comincia indicando il fatturato da cui detrarre i costi delle materie prime e dei servizi, ottenendo così il valore aggiunto. Da questo si tolgono i costi del personale, da cui risulta il margine operativo lordo (MOL), che senza gli accantonamenti restituisce il valore corrispondente del margine operativo netto. Infine si ottiene l’utile operativo, vale a dire l’EBIT, dove non sono considerate tasse o interessi, che una volta sottratti genereranno l’utile netto.”

Aqma nel 2020 ha registrato un trend di crescita nettamente positivo.


 

IL WORKING CAPITAL

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In seguito alla crisi del 2008, l’erogazione del credito nei confronti delle aziende si è contratta notevolmente e anche il rating delle società ha subìto un grave peggioramento; tuttavia al contempo si sono dilazionati i tempi di pagamento, evento che ha reso necessaria una sempre maggiore disponibilità di working capital.

Il capitale circolante è un palese indice del benessere di un’azienda, ed è il risultato della differenza fra i flussi di attività (crediti verso clienti, rimanenze finali, cassa, ratei e risconti attivi) e quelli di passività (debiti verso fornitori, debiti di natura operativa, ratei e risconti passivi) che vengono fronteggiati a breve termine da un’impresa.

Una corretta gestione del working capital è fondamentale per aumentare le disponibilità di cassa ed è ottenibile seguendo diverse modalità, come ad esempio rivolgendosi ai fornitori per ottenere una scontistica più elevata in caso di ordini più consistenti, oppure la richiesta di dilazione del pagamento. Il problema sussiste appunto nel momento in cui vi è un significativo sfasamento di tempistiche che intervengono nell’incasso del credito da parte dell’azienda e nel pagamento del debito presso il fornitore.

PIATTAFORME DI RACCOLTA ED ELABORAZIONE DATI PER VALUTAZIONI AZIENDALI

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Piattaforme di raccolta ed elaborazione dati per valutazioni aziendali:

Cribis d&b: fornisce business information su aziende italiane e opera in italia dal 1988, sottocategoria di dun e bradstreet. Reperibili informazioni sulla solidità dei partner commerciali, sulla valutazione del rischio, dati legali, protesti, pagamenti, eventi legali, conto economico, annualità di bilancio, ecc. Ecco i dati che vengono forniti: d&b failure score: probabilità che l’azienda cessi l’attività lasciando obbligazioni non pagate; rating: indicatore di affidabilità commerciale; delinquency score: probabilità di pagamenti con ritardo; fido: affidamento massimo consigliato; paydex: performance storica dei pagamenti verso i fornitori Ci sono diverse tipologie di report a seconda dei dati necessari e del costo che si vuole sostenere: Plus: rapporto completo, conviene comparazione settoriale e trend, 5 annualità di bilanci, indici, paydex, delinquency score, rating, fido, failure score Report: fotografia attuale dell’azienda con 3 annualità di bilancio, paydex, delinquency score, rating, fido, failure score Compact: contiene paydex, delinquency score, rating, fido, failure score MF centrale risk serve alle aziende che vogliono migliorare il PROPRIO rating affinché possano ricevere più facilmente fidi e prestiti. Si occupa di analizzare mensilmente la centrale rischi dell’azienda/gruppo d’azienda che ne richiede il servizio con gli occhi della banca. Comprende le eventuali tensioni finanziarie presenti, le durate residue dei finanziamenti, gli insoluti sui cediti anticipati, l’andamento di sconfini, ecc.  Allinea gli interessi fra cliente e banca, consente anche di ridurre il tasso di interesse applicato ai fidi. MFNOCRISI è una piattaforma di monitoraggio che cerca di anticipare e analizzare gli indici di una possibile crisi aziendale, avvisa preventivamente circa futuri fabbisogni e incremento di affidamenti, analizza le anomalie presenti sui dati CR e avvisa con alert. LEANUS: piattaforma che consente di accedere ai dati di bilancio delle aziende e analizzarli, calcola il profilo di rischio e il rating del Medio credito centrale e la confronta con il benchmark, può essere utilizzata per elaborare dei business plan. Consente di scaricare i bilanci direttamente da fornitori nazionali e internazionali di business information, consente di salvare modelli personalizzati. CERVED: fornisce dati che consentono alle aziende di proteggersi dal rischio. Offre dei dati di ricerca che siano di supporto alla azienda per la crescita nel medio e breve periodo. i servizi erogati sono di Risk intelligence: rischio di credito, finanza agevolata, real estate, “Anticipiamo i trend di mercato e formuliamo previsioni che contribuiranno a indirizzare le scelte e le azioni da intraprendere, limitando i mancati pagamenti, le frodi e il rischio di credito”; marketing intelligence: market intelligence, sales intelligence, digital marketing, advanced analytics, digital academy, “pianificazione e nella realizzazione di strategie commerciali e di marketing più intelligenti e più efficaci per centrare tutti i tuoi obiettivi di business dei nostri clienti”; credit management: crediti imprese, banche, servizi legali, gestione beni.
 

I COVENANTS

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Nel caso di investimenti che contemplano un apporto di capitale finanziario erogato dal finanziatore presso un’azienda, si riscontra talvolta la necessità di ricorrere a clausole contrattuali definite covenants. Il termine deriva dal francese antico “covenant” e strizza etimologicamente l’occhio al concetto di convenzione, promessa. I covenants infatti non sono altro che delle clausole stabilite ex-ante che però regolano scenari ipotetici che possono verificarsi ex-post la stipula del contratto e intervengono, come argine o come incentivo, nella prosecuzione del rapporto fra le parti, in base all’avvenimento di determinati accadimenti. Il contratto, che viene generalmente osservato come un punto di riferimento fisso e marmoreo, può quindi mutare, perché le stipule stesse lo prevedono, consentendo al finanziatore la possibilità di effettuare delle modifiche sulle condizioni che regolano il finanziamento. Circa il beneficio o meno che si può trarre dall’inserimento di queste specifiche, la letteratura economica si divide, poiché cruciale è la prospettiva d’osservazione del fenomeno. Da un lato manca una regolamentazione contrattuale standard che sia effettivamente in grado di proteggere adeguatamente chi apporta i fondi da situazioni che, di per sé, non sono di facile previsione, visto che richiedono uno studio accurato e personalizzato, e di conseguenza l’investitore si trova scoperto e senza un paracadute di protezione. Dall’altro lato, tuttavia, un’altra prospettiva potrebbe suggerire che solo il socio industriale ha effettivamente a cuore lo sviluppo dell’azienda ed è disposto a correre dei rischi che, invece, il partner finanziario rifiuta, essendo esterno alla compagine societaria e decisamente meno coinvolto nelle scelte di gestione che vengono attuate quotidianamente in azienda. Un punto di incontro potrebbe essere raggiunto proprio nel mezzo: il creditore, essendo meno emotivamente coinvolto, ha talvolta la capacità di effettuare delle scelte scomode che, in casi in cui si assista alla verifica di performance deludenti, potrebbero rivelarsi l’elemento in grado di tenere in piedi tutta quanta la struttura. Al contrario è giusto che la spinta propulsiva resti nelle mani del socio industriale quando i tempi sono favorevoli: la creatività e l’assunzione del rischio sono fondamentali per consentire alla società di ottenere un salto di qualità non indifferente. L’utilizzo dei covenants può anche risultare un sistema che argina fenomeni di opportunismo personale che tendono a verificarsi quando non c’è controllo della gestione manageriale, ove il manager tende a favorire i propri benefici personali a scapito del valore del debito. Le macrofamiglie di riferimento possono essere riconducibili a tre tipologie di covenants principali, ovvero positive covenants che obbligano a fare qualcosa, negative che impediscono di fare qualcosa e i financial covenants. Fermo restando che queste clausole entrano appunto solo in vigore “in extremis”, ovvero in situazioni eccezionali, sia con accezione positiva che negativa, si possono distinguere diverse tipologie di covenants. Eccone alcune a titolo esemplificativo: -Financial covenants. Sono clausole che intervengono nel caso in cui l’azienda non riesca a restare entro parametri economico-finanziari pattuiti in precedenza e rendono possibile la ridefinizione delle condizioni del prestito. -Covenants informativi, che integrano gli obblighi standard di comunicazione, rendendoli più capillari. -Covenants restrittivi che limitano il potere del debitore di prendere decisioni come la contrazione di nuovi debiti o la possibilità di effettuare taluni investimenti, per limitare il rischio che ciò comporta. -Covenants di default che possono intervenire sulle condizioni del prestito sino anche alla riscossione anticipata del credito in caso di casistiche particolari, come la presenza di istanze di fallimento. Essendo clausole specifiche che intervengono in casi-limite, ne deriva l’importanza dello studio che dev’essere effettuato a monte per poter definire con cura e criterio quali siano i parametri di cui tener conto, che non possono assolutamente essere standard proprio perché intervengono in scenari “atipici”, e che vanno personalizzati capillarmente caso per caso, in modo tale da fornire la soluzione più adatta che garantisca un problem solving che sia il più efficiente possibile e tuteli sia la parte debitrice che quella creditrice.
 

ALCOOLICI A DOMICILIO CON PIATTAFORMA ONLINE

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Alcolici a domicilio con piattaforma online: bernabei, tannico, vinando, winelivery, amazon, ubereats, vino75, trovino, vivino, diemmevini, vinix, wineowine, wine is terroir, cosaporto, wineshop, eataly, king of the night, roma drink delivery, tutta la GDO.

Vantaggi: niente file al supermercato, selezione ampia, scontistica, direttamente a casa, trend del delivery instaurato nel 2020, raggiungimento di un target più giovane, visibilità per cantine più di nicchia 

Svantaggi: costi di consegna, aree coperte a livello cittadino e nazionale, tempi di consegna

Le piattaforme possono essere online o con app

I consorzi di garanzia sono di supporto alla richiesta di finanziamenti, ci si iscrive e dopo una valutazione generalmente il consorzio si pone come garante per il 50% della somma erogata dalla banca, che deve ovviamente essere convenzionata con il consorzio. I consorzi sono regolati dalla banca d’italia e devono essere iscritti all’albo dei CONFIDI. I tassi di credito sono generalmente agevolati. Lo svantaggio di aderire ad un consorzio è che questo presenta generalmente dei costi di iscrizione (una quota associativa; un quota per il fondo gestioni -Il fondo gestioni è un fondo destinato alla funzionalità gestionale del consorzio-; una quota destinata al fondo rischi -il fondo rischi è un fondo che il consorzio costituisce presso ogni banca convenzionata per garantire le operazioni di credito effettuate dalla banca; tale fondo non è nella disponibilità del consorzio e la quota versata da ogni singolo associato viene normalmente restituita quando quest’ultimo abbandona il consorzio-).

Vini ad aste: piattaforme disponibili:

  • Bidoo: piattaforma generica di aste con sezione vini
  • idealwine: piattaforma utile per le cantine, con un discreto numero di iscritti, si occupa di vini da collezione o di alta fascia
  • catawiki: sito generico di aste, ora presenta anche la sezione vini e (alcuni) distillati, molto noto per le aste online
  • pandolfini: vini e whisky da collezione (prossime date a ottobre e novembre)

le aste non hanno subito un arresto durante il periodo pandemia ma solo un rallentamento nei tempi di consegna, si sono trasferite su piattaforme online (già c’era la possibilità di ricevere delle offerte telefoniche).

OPERAZIONI DI PRIVATE EQUITY

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Come precedentemente visto affrontando la tematica del socio temporaneo, che differisce in modo sostanziale dal ruolo dell’investitore in società chiuse (a cui invece preme particolarmente la crescita aziendale perché corrisponde a una rispettiva crescita dei suoi guadagni), esistono investitori che si occupano specialmente di operazioni di private equity, in cui vengono previsti degli obiettivi da raggiungere e che sono caratterizzate dal disinvestimento imminente a medio-breve termine, generalmente riassumibile nella durata di 5 anni circa. Si capisce dunque l’importanza essenziale della possibilità di disinvestimento, che obbliga l’adozione, nel momento in cui vengano costituiti statuti o atti, dell’inserimento di clausole specifiche che lo riguardano, in modo da garantire all’investitore e all’imprenditore la cosiddetta way out. Questa viene garantita ricorrendo all’uso di alcuni strumenti come il riacquisto, da parte dell’azionista di maggioranza, della quota partecipativa, oppure attraverso la cessione dell’intero corrispettivo del capitale sociale a terzi, oppure quotando in borsa l’investimento. Sono ovviamente diversificate le possibilità di uscita da un investimento, e non sempre la stessa è totale, bensì talvolta si può ricorrere a disinvestimenti parziali, in cui l’investitore cede solo una parte delle quote azionarie di cui dispone. Allo stesso modo in cui sono presenti delle clausole di way out, similmente talvolta, per la buona riuscita di un investimento, si ricorre alla creazione di clausole di lock up, ovvero che impediscano ad alcuni soci (con un know how specifico o soci di maggioranza) di cedere le proprie quote per un periodo di tempo ben definito. Questo vincolo di mancata fuori uscita si sofferma generalmente sul raggiungimento di alcuni obiettivi, sia qualitativi che quantitativi, previsti nel business plan. Nel momento in cui si crea una situazione di collaborazione col management vanno di conseguenza definiti accordi che ne descrivano le modalità e i vincoli, esposti generalmente in una scrittura privata tra le parti. Possono essere accordi che incentivano la partecipazione consistente del manager, con obiettivi “a provvigione” in base ai risultati che vengono ottenuti, ad esempio l’attribuzione di un maggior numero di quote al corrispettivo della medesima somma di denaro se questi obiettivi vengono raggiunti. Qualora vengano quindi fissati degli obiettivi e questi vengano raggiunti (o contrariamente non si riescano a realizzare), il prezzo di cessione potrebbe essere difficile da valutare e bisogna quindi ricorrere a un accordo conciliativo che metta entrambe le parti in condizione di proseguire con l’operazione. Queste eventualità vengono comunque affrontate in uno stadio iniziale di negoziazione, perché l’elemento di potenziale rottura fra investitore e imprenditore potrebbe avvenire proprio in questa fase preliminare, atta anche ad evitare successive divergenze di idee, le incognite vengono quindi discusse prima. Ci sono diverse variabili che possono inoltre condizionare la modalità di cessione, e riguardano i soggetti destinatari delle quote; possono essere quindi create delle clausole di prelazione dove si vincola l’investitore alla cessione interna con prelazione su quella a terzi, clausole di drag along in cui qualora il socio di maggioranza riceva una offerta da un terzo, viene necessariamente coinvolto un ulteriore socio nella cessione delle quote (mantenendo le condizioni di acquisto), oppure clausole di tag along in cui qualora un socio ceda la propria quota a un terzo, deve garantire che questo soggetto compri anche la quota di un altro socio. Qualora la vendita resti interna e non rivolta a terzi, si andranno a definire le cosiddette opzioni put, che prevedono delle conditio sine qua non grazie alle quali la vendita si struttura in una precisa modalità definita da un accordo.
 

CALCOLO DEL RAPPORTO TRA PFN E EBITDA

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Per intervenire nel piano di risanamento di un’azienda o semplicemente per meglio discernere qualora sia conveniente o meno fare un investimento, potrebbe essere utile dotarsi di uno strumento quale quello del calcolo del rapporto fra PFN ed EBITDA. Per PFN si intende la Posizione Finanziaria Netta ovvero la somma dei debiti finanziari meno quella della liquidità. Per EBITDA (lett. Earnings before interests, taxes, depreciation and ammortization) si intende il margine operativo che deriva dai ricavi meno i consumi, i costi fissi e variabili, quelli generali e quelli amministrativi. E il rapporto fra i due valori consente di effettuare una stima degli anni necessari all’azienda per ripagare i debiti finanziari, determinando, di conseguenza, la minore o maggiore “appetibilità” della stessa presa in questione. Tuttavia i parametri che vengono impostati e presi in considerazione per effettuare questo calcolo possono essere differenti, a seconda per esempio della diversa origine dei debiti finanziari, cosa viene o meno considerato come ricavo, e via dicendo, e in questo modo si ottengono risultati differenti anche per la medesima azienda. È la competenza e l’esperienza del professionista che si interfaccia a questi valori a determinare la differenza di interpretazione di questi dati, in modo che possa scegliere su quale società puntare. Stando ad una ricerca effettuata da Leanus, azienda leader che fornisce dati di valutazione e analisi di imprese, fatta a campione su un ventaglio di diverse società prese in esame è emerso come diversi score simili ottenuti da aziende molto diverse fra loro indicassero imprese “star”, ovvero le eccellenze, imprese “runners”, ovvero quelle con margine di crescita ma a rischio elevato, imprese “stuck”, sia con rischio elevato che basso margine di ricavi, e imprese “stable”, con un basso profilo di rischio, ma anche basso profilo di crescita. Ne consegue quindi che diversi sarebbero i soggetti interessati alle differenti tipologie di imprese qui prospettate, proprio perché alcuni preferiscono puntare su un’azienda innovativa ma con un rischio maggiore, o viceversa, puntare su qualcosa di più stabile e sicuro. L’ottima qualità di sintesi di questi strumenti diventa dunque pericolo potenziale nel momento in cui lo stesso valore può andare ad indicare situazioni tanto differenti l’una dall’altra, quindi ancora una volta il dato raccolto va inserito in un contesto d’analisi personale, in un’ottica di interpretazione esperta, da qualcuno che abbia le competenze necessarie per sfruttare una conoscenza di questo tipo, senza che essa possa risultare fuorviante o possa portare, nella peggiore delle ipotesi, ad effettuare un cattivo investimento..
 

ALTERNATIVE FINANZIARIE

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Qualora un’azienda si trovasse nel bisogno di ottenere un finanziamento, sarebbe la banca il primo istituto di credito a cui penserebbe di rivolgersi. Ma quali sono le alternative a disposizione nel mondo finanziario ad oggi?
A causa della sempre maggiore richiesta di fondi da parte delle società e della conseguente minore disponibilità bancaria nell’erogazione, il Governo italiano ha acconsentito ad una serie di cambi legislativi perché fosse più semplice poter garantire del credito.
In questo modo, nel panorama delle erogazioni si sono immessi anche i fondi, diversamente sottoposti a legislazione a seconda della provenienza italiana o estera.

Le regolamentazioni affinché si possa far parte dello scenario sono tuttavia piuttosto stringenti per i fondi italiani e non tutti i fondi comuni possono parteciparci, bensì solo i “fondi di investimento alternativi (FIA) chiusi, riservati o meno ad investitori qualificati”, a ciò si aggiunge anche una necessaria diversificazione degli investimenti, in modo tale da consentire una più corretta gestione del portafogli, limitando a una quota pari al 10% l’erogazione consentita verso uno stesso ente. Un altro paletto nella gestione dell’operazione consiste nel fatto che il finanziamento non può eccedere la durata del fondo stesso; questo un chiaro provvedimento volto alla tutela dei quotisti del fondo che, al suo termine, ricevono indietro il denaro investito e i proventi delle differenti operazioni, evitando che si crei uno squilibrio nel processo di ridistribuzione del denaro. È inoltre richiesta la partecipazione dei fondi alla Centrale dei Rischi, in modo da garantire estrema trasparenza sulla posizione debitoria di quanti vengono coinvolti.

La normativa non è, tuttavia, altrettanto chiara quando si parla di fondi con sede all’estero. Ci sarebbero più norme di riferimento, non di facile consultazione, che, per via dell’estrema dispersività e opacità, potrebbero inibire le intenzioni di investimento da parte di un fondo non italiano. Si sente quindi la mancanza di una normativa esplicita.

Il fatto stesso di essersi mossi in questa direzione a livello legislativo e procedurale per ciò che concerne la disponibilità di erogazione del credito consente anche alle aziende stesse di arginare e non incrementare un fenomeno potenzialmente pericoloso come quello dello shadow banking system, e quindi il ricorso a soggetti che non sono strettamente qualificati come professionisti della finanza o intermediari bancari, ma dispongono in qualche modo delle risorse sufficienti per effettuare un’operazione del genere, senza però garantire quella messa in sicurezza necessaria sia per la parte richiedente che per la parte creditrice.

Altre alternative di finanziamento per le aziende potrebbero essere rinvenute nell’emissione di obbligazioni corporate, che vengono sottoscritte da investitori quali ad esempio fondi di private debt, e in corrispondenza del credito ricevuto vengono emesse delle cedole periodiche, stimate sulla base di rischio d’impresa che deriva dalla società che le emette.

Altre possibilità sono da ravvisare nelle obbligazioni convertibili, oppure in strumenti ibridi che ricordano delle obbligazioni in cui chi emette il credito acquisisce il diritto di partecipazione agli utili, ma senza entrare nella compagine societaria.

Un’altra metodologia che sta prendendo piede in Italia è quella invece del crowlending, in cui, attraverso delle piattaforme online, le aziende vengono messe in contatto con diversi enti creditori (da fondi a persone fisiche private) che con rapidità di risposta riescono e istituire diverse pratiche. Stessa cosa per quanto concerne l’invoice trading, sistema attraverso il cui la società beneficia del pagamento anticipato di alcune fatture.

Il sistema del credito sta dunque subendo una costante evoluzione, in accordo alle crescenti esigenze sia dei creditori che dei finanziatori, andando a modellare un sistema in costante mutamento.


 

LA TESORERIA AZIENDALE

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In questi ultimi anni abbiamo assistito a una diversificazione e sviluppo sempre crescente delle aziende, alla creazione di un mercato sempre più globale e, per definizione stessa, sempre più competitivo.
Un elemento, questo, che ha determinato la necessità di una maggiore consapevolezza e strutturazione all’interno della compagine societaria, affinché il business resti in gioco.

Da qui abbiamo anche assistito all’insorgenza di un maggiore controllo finanziario e piani di intervento, non più affidati alle abilità personali imprenditoriali, bensì a un reparto specializzato e diversificato, soprattutto in seguito alla stipula dell’accordo di Basilea 2.

L’accordo, poiché riguardante l’implemento della sicurezza del sistema bancario ha significato un radicale cambiamento sulle valutazioni da effettuare in caso di cessione di credito.
La valutazione sarà conseguentemente basata su informazioni di tipo quantitativo (con un occhio attento sia allo storico dell’ente che, soprattutto, alla prospettiva di rischio per i mesi successivi alla valutazione), qualitativo e relazionali (va da sé che una buona reputazione bancaria e di solvenza in generale avrà un certo peso nell’assegnazione del rating) il tutto inserito in un quadro di risorse finanziarie limitate.

Emerge dunque la stringente necessità di elaborare diversi piani di intervento e valutazione, che siano a medio/lungo periodo, breve periodo, annuali e di cassa.
Dal business plan quinquennale, allo scadenzario di incasso e pagamento di fornitori e clienti che va tenuto e aggiornato meticolosamente e mensilmente, entrambi esempi di strumenti prospettici utili a prevedere e arginare emorragie finanziarie.

Elemento che coadiuva ad una più accurata previsione di tesoreria è la raccolta di informazioni circa le entrate e le uscite. Le prime possono essere a loro volta tipiche, ovvero l’incasso di fatture, atipiche o rettifiche di entrate. Analogo il caso delle uscite, che sono diversificate a seconda della destinazione ultima. Possono articolarsi in pagamenti per forniture, per servizi, per stipendi, tasse eccetera.

Una volta fatta la somma algebrica di entrate e uscite e tenute conto le liquidità necessarie per effettuare investimenti che consentano di restare operativi e competitivi nel mercato, è necessario capire da dove attingere le risorse necessarie per affrontare i costi. Due degli strumenti possono essere la monetizzazione di crediti commerciali futuri oppure lo scoperto di conto corrente.

Questi strumenti di previsione possono fare la differenza fra un business in attivo e uno prossimo al fallimento, specie con i tempi correnti. Si denota dunque l’importanza di investire nella creazione di una divisione di professionisti che possano aiutare i soci e imprenditori al raggiungimento di un equilibrio il più stabile possibile nell’amministrazione delle proprie finanze e nella gestione degli investimenti.    


 

IL SOCIO TEMPORANEO

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Quando si parla d’investimenti, l’immagine che viene immediatamente agli occhi d’ognuno è quella di un socio vita natural durante, statico, quasi immobile e inamovibile.
È Ezio Tartaglia, nel suo libro, ad offrirci una concisa e brillante spiegazione per ciò che concerne una figura diversa di partner finanziario, ovvero “il socio temporaneo” (Il socio temporaneo - opportunità per le imprese, Aracne editrice, 2014).

Il socio temporaneo generalmente investe nel capitale di rischio di un’impresa e organizza una serie di strategie di way out ponderate e strutturate con l’intento di realizzarsi nell’arco di pochi anni.
Il margine di guadagno dell’operazione sta nella differenza fra il prezzo a cui sono state acquistate le quote azionarie e quello a cui sono state, successivamente, cedute e si parla, in questo caso, di capital gain.

È un concetto sicuramente differente rispetto al consueto ricavo annuo costituente la partecipazione di una società; è un’operazione dinamica che consente al partner finanziario di diversificare le aziende e/o i settori di intervento, e al socio industriale di beneficiare di capitale finanziario senza che venga necessariamente alterato il core dell’azienda.

Se prima la discriminante della competitività e buona riuscita di un’azienda era dettata quasi esclusivamente dalla disponibilità di risorse e macchinari più o meno avanzati, adesso un reparto che necessità costantemente di liquidità è quello della ricerca, dello sviluppo, ma soprattutto di marketing ed informazione, per questo estremamente rilevante è la presenza di un socio finanziario, che creda nel progetto e consenta un rapido sviluppo alle aziende che sono chiamate a confrontarsi con un mercato sempre più competitivo e globale.

Le fasi principali dell’attuarsi di questo tipo di investimento sono, generalmente, cinque:
Una prima fase in cui il partner finanziario trova l’azienda di interesse in cui investire, una seconda in cui questa viene sottoposta a valutazione, una terza in cui si delineano le modalità di intervento, una successiva in cui viene decisa la tipologia del rapporto che intercorrerà fra il socio industriale e quello finanziario, e la fase ultima di disinvestimento.

Il partner finanziario quindi fiuta inizialmente la validità dell’investimento e dell’impresa, ed interviene con una partecipazione nel rischio della stessa, la quale a sua volta beneficia dell’iniezione di capitale finanziario che le consente una crescita più rapida e un abbattimento delle tempistiche previste nei precedenti business plan.

Differenti sono i fattori che rendono appetibile una società agli occhi dell’investitore, ma sono tutti elementi generalmente rivolti verso una consistente coesione di intenti e di core alla base del business, società in cui fondamentali sono la ricerca di mercato e dei validi key people alla base del progetto, considerati asset intangibili ed inalienabili della compagine societaria.

Lo sposalizio fra partner finanziario e partner industriale quindi, prevede che la relazione si interrompa nel corso di pochi anni, comportando un mutuo beneficio conseguente alla stipula dell’accordo.
Il socio industriale ha potuto beneficiare di liquidità che non fosse sottoposta a un tasso di interesse, come succede nel caso di banche e prestiti, ma ha avuto al suo fianco un socio in grado di fornirgli gli strumenti per rendere reale tutto quanto era concernente la visione dell’azienda, mentre il socio industriale ha potuto beneficiare della redditività della corporate vision traendo un guadagno successivo dovuto alla crescita del valore aziendale.

È in questa misura che vengono messe in atto le way out precedentemente menzionate, che possono essere di diverse tipologie.


 

IL CLUB DEAL

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Armiamoci e…partiamo!
Il vantaggio del club deal

Fare investimenti comporta avere una disponibilità di capitale non indifferente e, come spesso succede, le offerte più appetibili e vantaggiose sono le stesse che richiedono cifre di investimento da capogiro.

Arrendersi e tirarsi indietro non è l’unica opzione possibile perché, come un faro nella notte, si apre al ventaglio delle possibilità un nuovo scenario: il club deal.

Il club deal consiste nel riunire un certo numero di investitori, detti anche high net worth individuals, attorno alla stessa tavola rotonda e sotto la direzione di un team di professionisti, tra cui un club deal manager che, come una sorta di direttore d’orchestra, cerca di coordinare i vari portafogli, secondo le esigenze di exit, le capacità d’investimento e il livello d’entusiasmo nei confronti dell’azienda oggetto d’esamine.

Sul tavolo vengono dunque poste in essere diverse operazioni possibili e ognuno può decidere se intervenire o meno e in quale misura.
I benefici sono gli stessi di qualsiasi lavoro in team: l’unione, come sempre, fa la forza. E anche la differenza in questo caso, proprio perché la liquidità non tiene conto delle risorse individuali, bensì consta di diversi affluenti che convergono verso lo stesso fiume madre.
Ovviamente un altro dei vantaggi consta del fatto che, avendo a disposizione un ventaglio di proposte sul tavolo, si riduce il rischio d’investimento, proprio perché è possibile concentrare minori somme di capitale in un maggior numero di aziende e di investimenti, cosicché qualora ci siano investimenti che non procedono come prospettato e auspicato, si possa compensare con ricavi di investimenti che, al contrario, procedono bene.

La pratica del club deal  non è nulla di estremamente recente, bensì le prime operazioni furono effettuate nell’America del 1870, con l’obiettivo di creare una linea ferroviaria nello Stato della Pennsylvania. Le operazioni hanno continuato a svolgersi in quantità ingenti, tanto che si è arrivati a definire il periodo comprensivo tra il 2003 e il 2007 “l’era del club deal”, era che purtroppo ha subito un arresto in seguito alle indagini effettuate dall’Antitrust.
Le prime operazioni significative in Italia sono state portate avanti dal Tip, creato da Tamburi nel 2002, consentendo investimenti in quelli che oggi sono colossi come Eataly, Prysmian e Moncler.

Un altro dei vantaggi consentito da questo tipo di operazione è proprio quello di non essere investitori-abbandonati, bensì avere il conforto costante e il consulto di figure professionali, che possono discutere e cambiare le strategie di exit  in corso d’opera, consentendo di seguire il flusso di mercato e assecondare il periodo più vantaggioso per massimizzare i ricavi, elemento che definisce la sostanziale differenza rispetto al private equity.

Ovviamente il beneficiare di una struttura così delineata che vada ad operare sia come intelligence speculativa che come paracadute di sicurezza, non è priva di costi; ne consegue che lo svantaggio di un’operazione in club deal, basandosi su una rete di esperti, determinerà un minore ricavo da parte dei singoli di quanto è stato generalmente prospettato in una fase iniziale di analisi.

È un delicato gioco di equilibrio e allenamento: se non posseggo un’adeguata preparazione sportiva, difficilmente riuscirò a portare a termine l’impresa di scalare il Kilimangiaro, bensì se mi affido a un coach insieme riusciremo ad affrontare via via gli ostacoli che si porranno durante il cammino: il professionista offre le sue competenze in cambio di denaro e io beneficio delle stesse e riesco a scalare la montagna. Allo stesso modo il club deal consente anche agli investitori meno temprati ed esperti di effettuare operazioni; insomma lo scenario si apre anche alle carpe koi e non resta appannaggio esclusivo degli squali.


 

DETERMINAZIONE DEL COSTO DEL FINANZIAMENTO

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Finanziamento a tasso zero? Sì, ma non a costo zero!
Il marketing opera un ruolo cruciale nel determinare il successo e la capacità di attrazione di un bene o un servizio, ma con la stessa facilità aumenta il rischio di possibile misunderstanding.
Quando si parla di finanziamento a costo zero si intende che non viene pagata alcuna somma necessaria all’erogazione dello stesso, ma, ciononostante, vengono comunque sopportate delle spese che sono sì collaterali, ma essenziali alla buona riuscita della procedura e della raccolta dei capitali.

Sia che ci si rivolga ad una banca, sia che ci si stia interfacciando con un fondo o con un privato, l’erogazione di un finanziamento è sempre, e senza eccezioni, subordinata alla sopportazione di alcuni costi, di occorrenza fissa ma ovviamente con entità variabile, poiché diversi sono i professionisti a cui ci si può rivolgere.

Nel momento in cui un ente si fa carico della prospettiva di erogazione di un finanziamento, comincia la pratica di indagine, di investigazione della capacità di credito, reperimento della documentazione che meglio rappresenti la situazione economico-finanziaria e debitoria della società richiedente.

Basta fare un esempio quanto più tangibile possibile: se a chiedere in prestito denaro fosse mio fratello, che conosco da una vita e di cui mi è nota la situazione economica e di redditività, sono molto più propenso a fornirglielo, piuttosto che se a chiederlo fosse uno sconosciuto la cui storia mi è, per lo più, ignota.
In questo caso sarebbe opportuno prima effettuare delle ricerche che mi certifichino l’affidabilità del soggetto in questione (e anche nel caso di esito positivo non sono da escludere possibili insolvenze dovute a imprevisti o quant’altro) e solo successivamente valutare l’effettiva possibilità di erogazione e la stipula delle modalità di attuazione.

Da ciò ne consegue che, oltre alle spese di interessi sul capitale erogato (ad esempio nel caso delle banche), vanno sostenute anche le spese di gestione del contratto, che possono essere di estinzione anticipata, qualora venga saldata in toto o in parte la cifra inizialmente erogata (vengono in questo intaccate le percentuali di interesse proprio per la conclusione ante tempo), di volture, di variazione ipotecaria, di certificazione, eccetera.

Ovvie anche sono le spese notarili, e quelle fiscali, dipendenti dal regime tributario di riferimento e, sempre frequenti, anche gli oneri che vadano a coprire i costi assicurativi qualora venga richiesta la stipula di una garanzia ipotecaria.

Nel caso di una valutazione ancora più precisa e affidabile, potrebbero essere sopportati costi di garanzia verso enti terzi che vada a rinforzare la credibilità del soggetto richiedente il finanziamento.

Ci sono vari indicatori di calcolo che possono simulare il costo complessivo dell’operazione di erogazione del credito (TEG - ovvero tasso effettivo globale e TEGM - tasso effettivo globale medio) e sono utili per comparare i costi complessivi implicati da diversi enti creditori, quali possono essere le banche.

Obbligatorie nella determinazione della stima sono: l’eventuale costo di mediazione svolta da un terzo nel reperimento del capitale, spese di istruttoria e revisione, spese di incasso rate, spese per assicurazioni, oneri per la messa a disposizione dei fondi, spese di chiusura della pratica. 

Necessario inoltre sottolineare che sono poche le aziende le cui informazioni di rating siano disponibili e affidabili, si parla di circa il 20% qualche anno fa. Ne consegue che a causa del rischio contemplato nell’erogazione del credito e la mancanza di liquidità dei titoli, l’investimento sia possibile e sopportabile solo da parte di investitori professionali.


 

FLUSSI DI CASSA

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Qualora un’azienda si trovi in mancanza di liquidità, ha diverse alternative per sopperire a tale mancanza. È importante tenere sotto stretto controllo i flussi di cassa perché sono vitali per determinare lo stato di salute di un’impresa e per garantire la cosiddetta continuità aziendale.

Per poter intervenire con un piano di risanamento efficace è quindi essenziale puntare sul working capital, ovvero il capitale operativo, che è la somma del denaro necessario ad un’impresa per funzionare quotidianamente, e corrisponde alla differenza fra attività e passività imminenti. Le attività possono essere ad esempio la cassa, i crediti verso i clienti e le scorte di magazzino, mentre al contrario le passività sono i debiti verso i dipendenti, verso i fornitori e l’erario.

Sono dunque diverse, a seconda della particolare necessità della società, le opzioni percorribili.

Si può ad esempio anticipare il tempo di fatturazione, in modo da accelerare la tempistica di riscossione del credito, garantendo magari una scontistica a quei clienti che saldano la fattura immediatamente o prima dei canonici 30/60/90 giorni. Anche dilazionare il pagamento in più tranche è un’opzione del tutto valida.

Qualora invece il momento di carenza di liquidità sia contingente e non estremamente consistente, l’azienda può richiedere un fido per superare il divario che separa i pagamenti da effettuare e gli incassi da riscuotere.

Diverso invece se si prevede di intervenire sulle infrastrutture e i macchinari con un rinnovamento, ristrutturazione o acquisto di nuove macchine; in tal caso sarà necessaria una disponibilità liquida maggiore. In tal caso la scelta che più agevola in termini di condizioni la società è quella del finanziamento, perché non incide massivamente sulla liquidità ma consente una rateizzazione sostenibile, fermo restando anche l’importanza del calcolo del tasso di interesse.

Altra miglioria che la società può attuare è quella di una più corretta gestione di magazzino, in modo da non essere impreparati di fronte alle richieste dei clienti, ma nemmeno da essere appesantiti da uno stoccaggio eccessivo. Entrambe le prospettive sono, infatti, decisamente poco funzionali: la prima dipende o da un’incapacità di acquisto di sufficienti materie prime per soddisfare le commesse o da uno spazio che non è sufficiente a garantire le stesse, oppure da un mancato controllo e previsione degli incarichi in arrivo. L’eccedenza invece crea obsolescenza di prodotti e problemi di mancato utilizzo. L’ideale sarebbe ottimizzare le tempistiche di reintegro prodotti qualora fossero mancanti, riducendole al minor tempo possibile e una corretta gestione dei flussi degli ordini; talvolta anche richiedendo una consulenza ad un match advisory.

Qualora sia possibile è ovviamente consigliato far ricorso al pagamento a step o posticipato dei fornitori, sempre tenendo conto le spese fisse che sono stipendi, affitti, debiti e imposte.

Una corretta organizzazione e gestione di questi elementi può essere determinante non solo per costruire una credibilità aziendale a livello territoriale e non, ma può fare la differenza nella creazione di un percorso di crescita e successo per quest’ultima.