1:
Abbiamo a disposizione dati e analisi che fotografano l’evoluzione della condizione economico-finanziaria delle PMI italiane. Per la prima volta dal 2013 gli indici di redditività sono risultati in calo.
Ad oggi abbiamo un sistema di imprese molto più solido che in passato. La disponibilità di risorse interne delle PMI è cresciuta: le aziende più solide non trovano difficoltà a reperire capitali, ma spesso preferiscono ricorrere a risorse generate internamente o a capitale proprio. In un contesto di generale debolezza le PMI si troveranno ad affrontare nei prossimi mesi un’importante discontinuità, costituita dall’entrata in vigore del nuovo Codice della crisi. Questo richiederà alle PMI ingenti investimenti per dotarsi di sistemi e competenze di risk management e per adeguare la propria governance alle nuove normative. Si tratta però di uno snodo con la potenzialità di promuovere un cambiamento profondo per le società più piccole, generalmente caratterizzate da uno scarso livello di trasparenza e di autoconsapevolezza finanziaria.
Nel 2018 e nella prima parte del 2019 la ripresa ha esaurito il suo slancio per quanto riguarda la crescita del fatturato e dei profitti.
L’analisi è condotta su 157mila società che rientrano nelle PMI, di cui 130.300 sono piccole e 26.454 sono medie. Nel 2018 la ripresa delle PMI che dura dal 2013 ha perso slancio. Il rallentamento ha riguardato tutti i settori, con l’eccezione delle costruzioni.
Le PMI hanno livelli di Mol ancora inferiori del 20% a quelli del 2007.
Per la prima volta dal 2013 gli indici di redditività delle PMI risultano in calo, si riduce la redditività netta che è passata dall’11,7% del 2017 all’11% del 2018.
L’aumento della natalità ha beneficiato dell’introduzione delle Srl semplificate, la forma giuridica che consente di iscrivere a costi molto bassi nuove imprese, una novità che ha però esaurito la sua spinta propulsiva: nei primi sei mesi del 2019 il numero di nuove aziende è in calo. Nel 2019 i fallimenti sono tornati ad aumentare, con incrementi più sostenuti nell’industria e nei servizi.
La congiuntura più debole non ha attaccato il processo di rafforzamento dei fondamentali finanziari delle PMI.
Gli score che Cerved assegna ai bilanci delle PMI riflettono questi miglioramenti strutturali: la quota di PMI con un bilancio “solido” ha raggiunto un massimo nel 2017 (56,5%); quella di PMI con un bilancio rischioso minimo al 12,1%. Questo netto miglioramento è coinciso con una fase di forte crescita della base di PMI. Nel primi sei mesi del 2019 sono tornati ad aumentare i ritardi e i tempi di pagamento delle PMI, tuttavia la presenza di aziende caratterizzate da una situazione di forte difficoltà rimane bassa. La quota di PMI che hanno avuto un upgrade del Cerved Group Score tra settembre 2019 e settembre 2018 è ai massimi e doppia il numero di downgrade. Tutta la distribuzione si sposta verso le classi meno rischiose.
I livelli di investimento delle PMI rimangono largamente inferiori rispetto a quelli pre-crisi. I dati indicano che i livelli assoluti ancora bassi delle pmi non dipendono da caratteristiche finanziarie inadeguate a supportare un maggior volume di finanziamenti. Le pmi eccellenti, se aumentassero il loro indebitamento fino a due volte l’ebitda, potrebbero finanziare investimenti per 133miliardi di euro.
Rispetto al periodo della crisi le pmi più solide non hanno difficoltà a reperire capitali, ma spesso preferiscono ricorrere a risorse generate internamente o a capitale proprio. Un altro spazio per finanziare maggiori investimenti potrebbe derivare da pagamenti più rapidi, che ridurrebbero l’esigenza per le pmi di finanziare il circolante. Ad esempio, se i tempi si uniformassero a quelli medi osservati in germania, si potrebbero liberare risorse per 181 miliardi. In particolare la possibilità di scegliere quali fatture vendere sulla base di una valutazione automatica basata sul rischio degli intestatari delle fatture, potrebbe aiutare le pmi che si trovano in un’area grigia e non riescono a ottenere credito dalle banche, ma che servono clienti caratterizzati da un buon grado di solidità finanziaria. Su questo insieme, il valore delle risorse che potrebbero essere liberate si aggira intorno ai 40 miliardi di euro.
L’economia italiana, una delle più fragili in europa, ha subito il rallentamento dell’economia tedesca, a cui è fortemente legata da catene di sub-fornitura. Le attese sono di una crescita dell’economia italiana debole, al di sotto di un punto percentuale in termini reali nel prossimo triennio. Secondo le previsioni i fatturati segneranno una netta frenata nel 2019 per poi accelerare solo leggermente nel successivo biennio.
Le pmi continueranno quindi a giocare in difesa: cresceranno pcoo ma continueranno ad evidenziare profili solidi.
Dal prossimo agosto (2020) sarà pienamente operaativo il nuovo Codice della crisi di impresa che ha introdotto le procedure di allerta per favorire l’emersione precoce di situazioni di crisi. L’obiettivo è di favorire il risanamento di imprese che versano in una situazione di crisi temporanea e di rendere più rapida e meno costosa l’uscita dal mercato di aziende che invece sono in una situazione di crisi irreversibile.
Sono stati elaborati indici puntuali, che fanno ragionevolmente presumere lo stato di crisi di un’azienda. Tra gli indici proposti particolarmente importante il DSCR (debt service coerage ratio) che si basa sulla valutazione dell’adeguatezza dei flussi di cassa per soddisfare le esigenze finanziarie dell’azienda nei successivi 6/12 mesi. Il calcolo di questo indice può richiedere l’installazione di sistemi di tesoreria, software che al momento sono diffusi in italia solo in un numero limitato di grandi società. Sono necessari ingenti investimenti in merito, per una piccola impresa i costi si attesterebbero a circa 15-20mila euro all’anno.
I vantaggi di una diffusa adozione di sistemi ERM non sarebbero limitati alla capacità di intercettare precocemente le crisi: questi sistemi garantiscono infatti importanti vantaggi alle aziende, consentendo di orientare le scelte relative agli investimenti e alle politiche di finanziamento, alla composizione delle fonti, al loro costo. Il codice della crisi offre un’occasione per formalizzare e digitalizzare le pratiche gestionali delle pmi e per migliorare la loro cultura finanziaria. Un ruolo importante potrebbe essere giocato dal sistema bancario, che potrebbe integrare nei propri sistemi di early warning gli strumenti di valutazione adottati dalle imprese per ottemperare alla riforma.
2:
Cerved dispone della più ampia banca dati esistente sui bilanci delle imprese italiane: comprende l’universo dei bilanci delle società di capitale a partire dal 1994 e i bilanci delle società di maggiori dimensione raccolti a partire dal 1982 (circa 80mila bilanci all’anno). Questi dati sono stati integrati dai 120mila bilanci 2018 depositati dalle pmi presso le camere di commercio fino alla fine di settembre 2019.
I ricavi e margini sono in lieve rallentamento. Nel 2018 si evidenzia un contenuto di rallentamento della dinamica dei fatturati nominali rispetto al 2017. Questa dinamica coinvolge in maniera trasversale tutte le classi dimensionali e tutti i settori, ad eccezione delle costruzioni. Si evidenzia un gao notevole fra la dinamica delle pmi e quelle grandi: le prime continuano a crescere a ritmi sostenuti, in linea con quelli dell’anno precedente, mentre le grandi subiscono un rallentamento marcato. In ogni caso le pmi sembrano evidenziare una maggiore capacità di contenimento dei costi operativi. Il calo più marcato del valore aggiunto si evidenzia nel settore dell’energia e utilities. I dati settoriali indicano che nel corso del decennio le performance sono state molto diversificate: le pmi che operano nei servizi generano un fatturato reale superiore a quello pre-crisi, mentre le pmi industriali si distanziano di un punto percentuale dai volumi del 2007. Per le costruzioni il fatturato reale è crollato, con una perdita di circa un quarto rispetto ai ricavi antecedenti la prima recessione. Tra 2018 e 2017 si osserva una crescita molto lenta nell’industria e servizi, leggermente più sostenuta nel settore delle costruzioni.
La crescita del costo del lavoro ha riflessi negativi sui margini operativi, che rallentano in tutte le classi dimensionali e in tutti i settori. Se le pmi riescono comunque a mantenere una dinamica positiva, le imprese grandi invertono la tendenza registrata negli ultimi anni passando in territorio negativo.
È in crescita la propensione agli investimenti. Il 2018 mostra un’ulteriore crescita della propensione all’investimento più evidente per le pmi, ma i livelli ante-crisi non sono stati ancora recueprati.
Si ridue la capacità delle pmi di generare fatturato a partire dal capitale disponibile. L’aumento del costo del lavoro, la conseguente riduzione dei margini lordi e la dinamica degli ammortamenti e degli accantonamenti di bilancio hanno prodotto, per le pmi, a una lieve riduzione dell’utile ante oneri finanziari in rapporto al fatturato.
La variazione del capitale circolante, ovvero l’incremento del valore del magazzino di beni e la gestione netta di crediti e debiti commerciali ha assorbito l’1,3% del fatturato nell’ultimo anno, a fronte del 2% del precedente. Emerge quindi che, all’uscita della crisi, le imprese italiane sono divenute più attente anche nel contenere le dilazioni e i ritardi nei pagamenti da e per i fornitori e clienti. Il saldo finanziario lordo risulta ancora positivo, quindi la necessità di fare ricorso al finanziamento esterno è alimentata solo dagli investimenti finanziari in partecipazioni e dalla variazione di altri crediti finanziari. La redditività operativa delle pmi è in lieve flessione. Il turnover, ossia la capacità di generare fatturato sfruttando le risorse a propria disposizione, è aumentato nel 2018 per le pmi, evidenziando quindi una crescita del fatturato superiore a quella degli attivi e fornendo un contributo positivo alla redditività (0,7 punti). La dinamica positiva dell’effetto turnover non riesce a controbilanciare il dato negativo dell’utile anti oneri finanziari. È in crescita il numero delle pmi in perdita. Al peggioramento della redditività media è corrisposto un aumento del numero di pmi che hanno chiuso l’esercizio in perdita. Crescono invece i debiti finanziari, i dati indicano che la ripresa degli investimenti è coincisa in italia con la fine della discesa dei debiti finanziari. Parallelamente al ritorno alla crescita del capitale di debito, prosegue il rafforzamento del capitale proprio: tutte le classi dimensionali vedono crescere il patrimonio netto, con un’ulteriore accelerazione per le pmi, che aumentano il capitale con ritmi superiori all’8%.
È stata stilata una lista di indicatori che potrebbero attivare automaticamente le procedure di allerta, questi indicatori sono: liquidità a breve termine, patrimonio netto/debiti totali, cash flow/attivo, oneri finanziari/fatturato, indebitamento previdenziale o tributario/attivo.
Si riduce il peso dei debiti finanziari in rapporto al capitale netto, continua quindi il calo del peso dei debiti finanziari in rapporto al capitale netto, favorito soprattutto dal rafforzamento patrimoniale.
Prosegue nel 2018 il calo della quota di pmi che non fanno ricorso al capitale bancario per finanziare la propria attività: si tratta di 65mila aziende, pari al 40,1% del campione, a fronte del 42,5% del 2017. Nonostante il credito sia tornato a crescere, anche in misura sostenuta, continua a ridursi la platea di pmi a cui le banche concedono credito, segno di una forte attenzione degli istituti finanziari nell’erogazione di risorse finanziarie, ma anche di un probabile ricorso a fonti di finanziamento alternative che cominciano a farsi strada nel segmento delle pmi.
Le previsioni dei bilanci delle pmi. La congiuntura economica internazionale continua a essere dominata dall’incertezza. Tra i principali timori sull’evoluzione del quadro economico internazionale permangono quelli sull’evoluzione della politica commerciale americana. Anche i recenti sviluppi sulla Brexit potrebbero causare ingenti danni alle economie dell’eurozona. Di recente si sono aggiunti l’attacco militare della turchia del nord alla siria, le rinnovate tensioni fra stati uniti e iran e gli attacchi ai pozzi petroliferi dell’arabia saudita, cui vanno aggiunte le future scadenze elettorali, in particolare le presidenziali americane dell’autunno 2020. Nell nostro paese il costo del debito è diminuito in maniera significativa dopo l’estate, con lo spread tra i btp e i bund tedeschi decennali che è tornato ai livelli del 2017. La redditività segnerà una battuta d’arresto in maniera trasversale in tutti i settori, con la parziale eccezione delle costruzioni, che dovrebbero riuscire a contenere il calo del 2019. Rispetto al 2018 si prevede una perdita del ROE dedl 2021 di 8 decimali nelle utility, nell’industria e nei servizi, di 6 decimali tra le società agricole e più ridotta nelle costruzioni.
3:
Nel 2018 cresce il numero di pmi ma a ritmi più deboli dell’anno precedente. L’evoluzione dello stock di pmi tiene conto dell’andamento dei flussi di quattro diverse componenti: 1-le nascite; 2-le morti, ovvero le pmi che escono dal mercato a seguito di una procedura concorsuale o di una liquidazione, oppure le imprese che non hanno presentato un bilancio (dormienti); 3-le migrazioni in entrata: società che sono entrate nel perimetro, ovvero microimprese diventate pmi e grandi che hanno ridotto la propria taglia; 4-le migrazioni in uscita, società uscite dal perimetro.
Si registra un aumento delle nate tra 2016-17 con un aumento del 23,6% su base annua, ampiamente positivo anche il saldo tra le migrazioni in entrata e quelle in uscita dal perimetro di pmi.
In base ai bilanci e ad altri dati di demografia si stima infatti che nel 2018 il numero di pmi si attesti a quota 161mila, con una crescita su base annua +2,9%. Sono però anche in aumento le pmi che escono dal mercato, +3,8%, con un saldo nate-morte che si mantiene positivo, +1097.
Nel 2018 il numero di iscrizioni totali al registro delle imprese risulta in calo del 2,4% rispetto al 2017. La crescita delle nuove società di capitale è stata favorita negli ultimi anni dall’aumento delle srl semplificate. Nel 2018 il contributo delle srl semplificate sul totale delle nascite risulta in crescita e si attesta al 44%. Nel 2018 il settore agricolo fa registrare un significativo calo delle nascite con le nuove società che si attestano su un valore vicino alle 1800.
Il capitale sociale versato dall’imprenditore al momento dell’iscrizione in camera di commercio rappresenta un indicatore del potenziale di crescita dell’impresa fondata. Le vere nuove nate con un capitale sociale versato superiore a 5mila euro sono 28mila nel 2018, i aumento del 4,3% su base annua. I dati sui bilanci delle nuove società di capitale possono essere utilizzati per ottenere delle indicazioni sulla quota di nuove imprese che riesce a sopravvivere e a radicarsi sul mercato. In particolare si considerano come sopravvissute le società che a un anno e tre anni all’iscrizione realizzano ricavi e quindi sono effettivamente attive sul mercato. Vi è un graduale aumento delle società che, a tre anni dalla nascita riescono a radicarsi sul mercato, è aumentato per il secondo anno consecutivo toccando quota 48%. Sono le società tradizionali a trainare l’andamento complessivo dei tassi di sopravvivenza, con un incremento della quota di sopravvissute che le porta dal 55,4% del 2016 al 57,8% del 2017. Le srl semplificate sono caratterizzate da tassi di sopravvivenza nettamente inferiori, anche se in leggera crescita (dal 41,7 del 2016 al 43 del 2017).
La dimensione delle nuove nate nel 2017 evidenzia andamenti contrastanti. In termini di fatturato si osserva una riduzione del valore mediano delle società di capitale, mentre prosegue l’aumento dei fatturati delle srl semplificate. I dati relativi agli oneri finanziari che hanno in bilancio le nuove imprese indicano una continua e marcata riduzione del numero di nate che sono supportate dal sistema finanziario nella loro fase di start-up. La crescita di società che riescono a radicarsi sul mercato è accompagnata da quella di nuove nate che nel giro di pochi anni riescono a superare le soglie di piccola e media impresa. Nel 2017 sono in aumento le imprese che diventeranno pmi a tre anni dalla nascita.
Le pmi fuori dal mercato. Qui si analizzano le tendenze delle pmi che escono dal mercato. Nel 2018 sono aumentate le uscite dal mercato con una leggera inversione nei primi sei mesi del 2019. Nel 2018 i dati sulle chiusure di impresa evidenziano un aumento delle pmi uscite dal mercato a seguito di una procedura concorsuale o di una liquidazione volontaria. L’andamento delle pmi uscite nel 2018 segna un’inversione di tendenza rispetto ai miglioramenti fatti registrare a partire dal 2014, ma il numero delle chiusure risulta comunque inferiore ai livelli pre crisi.
Le liquidazioni volontarie tornano ad aumentare nel 2018 stabilizzandosi nei primi mesi del 2019. L’andamento delle liquidazioni volontarie di imprese in bonis (senza procedure concorsuali precedenti) è un indicatore utile per misurare le aspettative di profitto degli imprenditori. La chiusura di un’attività in bonis è infatti generalmente legata a margini attesi giudicati non sufficienti a proseguire l’attività imprenditoriale.
Nel corso del 2018 hanno aperto una procedura di liquidazione volontaria 2.227 pmi che operano nei servizi, il 6,6% in più rispetto al 2017. Nella prima metà del 2019 si assiste invece a un calo delle liquidazioni nel settore (-2,6%) che contribuisce in maniera significativa alla riduzione delle chiusure complessive registrata nel semestre. Le costruzioni sono l’unico settore che vede ridurre il numero di liquidazioni nel 2018. Questa tendenza non si conferma nei primi mesi del 2019 che fanno registrare un incremento delle liquidazioni del 13%. Nel corso del 2018 le procedure fallimentari aperte dalle pmi sono state 1557, un dato in calo rispetto al 2017 (-4,7%) anche se con un tasso più contenuto rispetto alle riduzioni degli anni precedenti. Nel 2018 e nella prima parte del 2019 i dati relativi al numero di procedure concorsuali non fallimentari delle pmi confermano il trend di miglioramento degli ultimi anni.
Le analisi condotte da cerved sui dati del registro delle imprese indicano che nel 2018, a fronte di un aumento del numero di procedure chiuse, i tempi medi di chiusura si sono abbassati di circa 4 mesi. L’abbassamento della durata media è stato favorito da una migliore gestione degli arretrati e da interventi di tipo normativo. Nonostante ciò, dei 206mila fallimenti dichiarati dal 2001 al 2018 ne risultano tuttora aperti 86mila, pari al 41,7%. I tempi di chiusura variano molto a livello territoriale, con le regioni del nord che evidenziano performance migliori al centro e al sud. I tribunali che evidenziano tempi medi di chiusura più brevi sono crotone (3 anni e 8 mesi), bolzano (4 anni e 1 mese) e gorizia (4 anni e 1 mese). La velocità e l’efficienza dei tribunali italiani hanno importanti riflessi nell’attività di recupero crediti.
4:
i pagamenti delle pmi. Dopo una lunga fase di miglioramento, nel corso della prima metà del 2019 sono tornati a crescere i ritardi e i tempi medi di evasione delle fatture delle pmi.
Payline è un database proprietario che raccoglie le abitudini di pagamento di più di 3 milioni di imprese italiane. Ogni mese 1680 società contributrici inviano a cerved un flusso di informazioni relative alle anagrafiche dei loro clienti e la relativa movimentazione contabile. Le informazioni sono aggregate, incrociate ed integrate con altri archivi proprietari. Tra il 2017 e il 2018 i crediti e i debiti commerciali delle pmi sono aumentati rispettivamente del 2,1% e dello 0.9%. il valore complessivo dei crediti commerciali è tornato molto vicino ai livelli pre-crisi mentre i debiti commerciali delle pmi rimangono leggermente più distanti dai valori del 2007. Nel 2018 la quota di fatturato finanziata con i debiti commerciali segue una dinamica molto simile, con tutti i settori che evidenziano un andamento più contenuto di quello dei ricavi. Nel comparto dell’energia e delle utility la riduzione della quota dei debiti commerciali è la più marcata e passa dal 21,6% del 2017 al 20,1% del 2018, l’industria si attesta nel 2018 al 20,9, le costruzioni fanno registrare una discesa dal 29,4 al 28,7.
Sono in leggero aumento i tempi concessi alle pmi per saldare le fatture. Per ogni fattura registrata payline raccoglie informazioni sui tempi di pagamento concordati fra cliente e fornitore, ovvero sul credito commerciale concesso al cliente, una leva fondamentale per la gestione della liquidità e del capitale circolante di un’impresa. Nel corso dei primi due trimestri del 2019 si è interrotto il trend di riduzione dei termini concordati delle pmi che aveva caratterizzato gli ultimi tre anni. In base ai dati, a giugno 2019 i giorni concessi alle pmi per liquidare le fatture sono in media 59,3, aumentando quasi di un giorno rispetto ai 58,4 di giugno 2018. Le grandi imprese, che strutturalmente godono di scadenze più lunghe rispetto alle pmi, fanno invece registrare una dinamica diversa, proseguendo la discesa e portando i termini concordati a una media di 65,9 giorni, quasi una settimana in più rispetto alle pmi. Si è ridotto il numero di pmi che pagano in tempi brevi. L’aumento delle scadenze concordate ha coinvolto sia le piccole che medie imprese. Tra giugno 2018 e 19 i termini concordati sono aumentati mediamente di un giorno per le piccole e di 0.9 per le medie. Il divario dimensionale tra le imprese, speso associato a un differente potere negoziale si traduce in termini di scadenza più vantaggiosi per le società di maggiore dimensione. In alcuni comparti, come nell’edilizia, il ciclo produttivo richiede tempi più lunghi e utilizza maggiormente la leva del credito commerciale. I ritardi accumulati sul pagamento di una fattura possono essere interpretati come un segnale anticipatorio di situazioni di difficoltà finanziaria da parte di un’impresa. In altri casi il ritardo del pagamento di una o più fatture può rientrare nelle politiche aziendali di gestione della liquidità. I ritardi sono in aumento. Il differenziale tra pmi e grandi imprese deriva dalla possibilità per le aziende di maggiori dimensioni di ritardare strategicamente il pagamento delle fatture facendo leva su un maggiore potere negoziale. Tra le grandi imprese, infatti, solo il 9,9% salda le fatture con puntualità, contro il 26,1% delle medie imprese e il 43,7% delle piccole imprese.
Tempi di pagamento delle pmi in crescita nel 2019. Il tempo complessivo che intercorre tra la consegna della merce e il pagamento della fattura è la risultante dei termini concordati con il fornitore, ovvero il credito commerciale concesso esplicitamente, e degli eventuali ritardi che l’impresa accumula: sommando le due componenti si ottiene il credito commerciale di cui effettivamente gode un cliente. I tempi medi con cui le pmi saldano le proprie fatture sono risultati in calo fino alla fine del 2018, grazie sia a una riduzione delle scadenze concordate sia a una riduzione dei giorni di ritardo. Nel 2019 i tempi di pagamento hanno però ripreso ad aumentare. L’incremento ha riguardato sia le piccole che medie e grandi imprese. Tuttavia una grande azienda può liquidare una fattura quasi due settimane dopo rispetto a una piccola società e dopo 10gg rispetto a una media impresa. I tempi di liquidazione delle fatture divergono a seconda del settore delle pmi: le imprese operanti nell’ambito di attività economiche caratterizzate da un ciclo produttivo più lungo di solito impiegano più tempo per liquidare le loro fatture. Nonostante un aumento dei tempi di pagamento di 1,4 giorni, le pmi operanti nel comparto dell’energia e utility si confermano come le più rapide a liquidare le fatture evidenziando valori molto bassi rispetto alla serie storica.
I tempi di attesa per i crediti commerciali e i tempi di pagamento delle imprese sono stati analizzati attraverso due indici finanziari: i giorni di dilazione media concessa ai clienti e i giorni di dilazione media ottenuti dai fornitori. Dalla ricerca emergono i seguenti risultati: negli ultimi anni si assiste a una generale contrazione dei tempi di incasso e di pagamento; vi è una eterogeneità fra paesi dei tempi medi di pagamento anche all’interno dei singoli settori ma con elementi comuni: le costruzioni necessitano di tempi lunghi, il commercio brevi; l’italia rimane il paese che presenta i tempi di incasso e pagamento più elevati. La germania nel 2017 risulta essere quello coi tempi di dilazione più bassi. L’analisi dei giorni di dilazione ottenuta dai fornitori indica che in tutti i paesi (eccetto la turchia) i tempi medi di pagamento dei debiti commerciali sono più elevati rispetto ai giorni di dilazione concessa ai clienti, è l’italia a evidenziare gli indici più alti.
Crescono i mancati pagamenti tra le pmi: la quota ritorna a salire a fine 2018, salendo ancora nel 2019. L’eccessiva durata dei giorni di credito rappresenta un fattore critico soprattutto per le imprese piccole che scontano tempi più lunghi a causa di margini competitivi e negoziali meno favorevoli rispetto alle imprese strutturate. Le imprese caratterizzate da livelli di rischio più elevato sono quelle che scontano maggiormente gli effetti dell’eccessiva lunghezza dei tempi di incasso delle fatture e che potrebbero beneficiare dall’impiego di nuove risorse per far fronte alla carenza di liquidità a breve termine e migliorare la loro solidità finanziaria e patrimoniale. Un abbassamento complessivo dei giorni di credito ai clienti potrebbe quindi avere degli effetti importanti sul sistema economico, liberando risorse finanziarie da destinare a nuove transazioni commerciali, a investimenti, alla gestione operativa o al ripianamento dei debiti.
5:
la solidità finanziaria delle pmi consentirà una riduzione dei tassi di ingresso in sofferenza, che sono attesi in calo nel triennio 2019-2021. Gli score e i rating creditizi di cerved forniscono un giudizio sintetico sull’affidabilità creditizia delle aziende e sono ampiamente utilizzati nel nostro sistema economico nella valutazione della concessione e delle condizioni dei prestiti di natura finanziaria o commerciale delle imprese. Gli score ed i rating cerved sono emessi per tutte le imprese italiane e consentono quindi un’analisi complessiva ed articolata del profilo di rischio delle pmi. I modelli statistici su cui si basano questi giudizi prevedono infatti il calcolo di valutazioni parziali riferite a singoli fattori d’analisi, fino ad arrivare ad uno score denominato Cerved Group Score (CGS) che rappresenta un giudizio del merito di credito dell’azienda che tiene conto del contributo di tutte le valutazioni parziali. Il cgs si basa su due valutazioni principali. In primis il cebi-score-4, una componente economico finanziaria che integra uno score economico finanziario, una componente sistemica, formata da variabili strutturali, macroeconomiche, territoriali e settoriali, incorporate da valutazioni in termini previsionali e dinamici. In secondo luogo, lo score comportamentale, che integra segnali che arrivano dal mercato e che possono dare un contributo rilevante alla valutazione complessiva dell’azienda. Le variabili comportamentali analizzate comprendono dati di fonte pubblica e informazioni proprietarie. Il cgs esprime la valutazione puntuale del merito creditizio di un’impresa.
Gli score economico-finanziari calcolati da cerved sulla base delle variabili di bilancio misurano la solidità strutturale delle pmi italiane, intesa come la capacità di generare flussi di cassa sufficienti per rimborsare i debiti contratti. Nelle scorse edizioni del rapporto, i dati relativi al profilo economico-finanziario delle pmi hanno evidenziato un chiaro rafforzamento strutturale.
I nuovi dati confermano un aumento del numero delle pmi e una maggiore solidità finanziaria. Questa favorevole tendenza demografica è accompagnata da un miglioramento di profilo di rischio: cresce ancora l’area di solvibilità, in cui si colloca ormai più di una pmi su due, e si riduce specularmente l’area di rischio. Il miglioramento del profilo economico finanziario delle pmi può riflettere effetti demografici, effetti dimensionali o cambiamenti nel profilo di rischio delle pmi. L’aumento del numero di pmi registrato tra 2016/17 è dovuto principalmente a una positiva dinamica dimensionale: il saldo tra microimprese cresciute fino a pmi e pmi che sono diventate micro è positivo di 7k unità. Positivo anche il saldo tra pmi entrate e uscite dal mercato (+1k) e pressoché nullo il saldo migratorio da e verso grandi imprese. L’aumento del numero di pmi tra 2016/17 si è riflesso in un aumento del numero di pmi solvibili, cioè società con bilancio particolarmente solido. Il numeri di pmi rischiose tra 2016/17 si è ridotto a 1812.
Si riduce il gap con le grandi imprese, ma la distanza resta ampia. I miglioramenti dei profili economico-finanziari osservati nel corso degli ultimi anni hanno riguardato, anche se con intensità diverse, tutte le fasce dimensionali. I dati indicano che nella fascia delle grandi imprese l’area di solvibilità è aumentata ulteriormente nel 2017, arrivando a superare il 66%. Il profilo è più solido di quello delle pmi ma rispetto al 2012 i divari si sono ridotti per quanto concerne le imprese rischiose. Nel 2017 il 55,4% delle piccolee società sono classificate in aree di solvibilità, in aumento di oltre 3 punti percentuali rispetto all’anno precedente -52,3%. La presenza di imprese rischiose è scesa al 12,5% tra le piccole società, praticamente dimezzandosi rispetto ai livelli del 2012. I dati indicano dunque che le condizioni economiche generali hanno determinato le tendenze di fondo, comuni a tutte le fasce, di miglioramento nel profilo di rischio. L’industria è stato il settore trainante della ripresa, che è passata attraverso il rafforzamento delle pmi, da un lato, e l’uscita dal mercato delle aziende più fragili dall’altro. Anche i servizi presentano un andamento analogo, hanno sperimentato un processo di ristrutturazione che ha consentito un miglioramento del profilo economico-finanziario. Le costruzioni si confermano il settore più fragile. L’arresto del mercato immobiliare in presenza di molti cantieri ancora aperti aveva avuto effetti devastanti, a questo si sono aggiunte le difficoltà create dalla carenza di risorse degli investimenti pubblici e dalle modifiche del codice appalti. Non va dimenticato che le costruzioni sono il settore in cui il processo darwiniano di uscita dal mercato delle imprese più fragili è stato i più marcato. Considerazioni diverse per il settore agricolo, si osservano differenziali di crescita e rischiosità significativi, legati alla presenza delle imprese nelle aree di eccellenza della produzione agroalimentare o in segmenti meno redditizi. Il risultato finale è un miglioramento complessivo del profilo di rischio, ma a ritmi deicsamente più lenti rispetto al resto delle pmi.
Gli score economico-finanziari sono uno strumento potente per spiegare l’evoluzione del rischio di credito delle pmi e, soprattutto, per cogliere l’effetto di fenomeni strutturali, come l’aumento del grado di capitalizzazione delle imprese e la conseguente riduzione dei debiti finanziari sulla composizione dell’attivo. Il cgs consente infatti di tener conto delle evoluzioni più recenti e di avere indicazioni prospettiche del rischio delle imprese; infatti integra i dati di bilancio e una valutazione strutturale dell’azienda con una componente andamentale, alimentata da dati pubblici e dalle banche dati proprietarie cerved, che consente di cogliere tempestivamente i segnali provenienti dal mercato e le tendenze in atto. Il cgs offre una valutazione dell’affidabilità creditizia di un’impresa, intesa come la probabilità che l’impresa registri un evento di default nei 12 mesi successivi alla valutazione. A settembre si osserva un saldo positivo fra miglioramenti e peggioramenti del cerved group score 2019 per il quinto anno consecutivo. I bilanci indicano che, nonostante la redditività abbia interrotto il suo graduale recupero del 2018, le pmi risultano più patrimonializzate e con un’incidenza degli oneri finanziari ai minimi nel corso del decennio; le attese sono di un ulteriore rallentamento dei conti economici nel 2019 che però non dovrebbe interrompere il rafforzamento strutturale delle pmi. Tuttavia sia le tendenze relative alla demografia sia quelle relative ai pagamenti non risultano critiche.
In base agli ultimi dati, circa un terzo delle pmi si colloca nell’area di sicurezza, con un aumento di circa cinque punti percentuali rispetto all’anno precedente. Stabile anche l’area della sicurezza, in ulteriore riduzione l’area della vulnerabilità e del rischio.
Per le piccole società i crediti hanno continuato a contrarsi. In base al cgs a settembre 2019 esistono 100mila pmi che si collocano nell’area di solvibilità o sicurezza, alle quali è attribuita una probabilità di default a un anno non superiore al 3,5%. Si tratta di imprese solide, tra le quali molte potrebbero avere la struttura finanziaria adatta per aumentare gli investimenti incrementando il proprio grado di indebitamento, pur mantenendo un grado di rischiosità estremamente contenuto. Il rapporto debiti finanziari netti/ebtda è spesso impiegato per classificare il livello di indebitamento delle imprese: solitamente, un valore del rapporto inferiore a 2 indica un livello di indebitamento non elevato e facilmente sostenibile. I dati indicano che oltre la metà delle pmi in area di solvibilità e sicurezza (67k) hanno un rapporto tra debiti ed ebitda inferiore a 2, con una netta maggioranza di piccole imprese (56k). Se i debiti finanziari di queste aziende aumentassero, fino a raggiungere il rapporto di 2 volte l’ebitda, l’indebitamento potrebbe crescere di 133miliardi di euro, con incrementi molto simili per le piccole e medie.
Gli score individuali che cerved calcola sulle imprese italiane, integrati in una suite di modelli statistici con gli andamenti macroeconomici, permettono di combinare la rischiosità dell’azienda con quella legata al contesto economico. Gli andamenti per dimensione di impresa indicano che i miglioramenti hanno riguardato le pmi e le microimprese ma non le grandi, e confermano la correlazione negativa tra dimensione e rischio di credito che emerge anche dai valori della distribuzione per classi e aree di rischio del cgs. Nonostante il miglioramento dei fondamentali economici e del profilo di rischio delle imprese, i tassi di ingresso in sofferenza rimangono a livelli superiori rispetto a quelli pre 2008. Questo è in parte attribuibile al lag temporale tra il momento in cui un’azienda mostra i primi segnali di difficoltà e il momento in cui si apre la segnalazione della sofferenza. In parte alla riduzione della platea di società affidate al sistema bancario. La rischiosità delle imprese, è strettamente legata al settore di appartenenza.
Vi è in atto una transizione verso un’economia a più basso livello di emissioni e climaticamente resiliente. Sono stati individuati dei settori target che possono contribuire in modo determinante alla climate change mitigation e adaptation senza entrare in contrasto con gli altri obiettivi ambientali dell’unione. La selezione dei settori target è stata effettuata tenendo conto delle emissioni di CO2 a livello settoriale e di quanto investire in una determinata attività possa costituire un fattore abilitante per la riduzione di emissioni in altri settori. Tra i settori inseriti all’interno della tassonomia vi sono 3 diverse tipologie di attività: a bassa emissione di carbone (greening activities), per le quali si incentivano maggiori iniezioni di capitale al fine di diffondere il loro sviluppo a livelli più ampi; attività ancora lontane dagli obiettivi di riduzione di emissioni, il cui apporto è però considerato cruciale nel contribuire a una transizione ecologica del sistema produttivo (greening of activities).
In termini di rischiosità, misurata attraverso cgs, il 40,4% delle imprese operanti nei settori della tassonomia è in area di vulnerabilità o di rischio cgs, un dato che equivale al 38,3% considerando le microimprese, al 41,2% per le pmi e al 21,4% per le grandi imprese. Le pmi che dovranno effettuare investimenti per addattarsi al cambiamento climatico sono più rischiose rispetto al complesso delle imprese della stessa fascia dimensionale.
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