Monthly Archives

Dicembre 2021

LE WAY OUT

By | economia-finanza | No Comments

Come precedentemente visto affrontando la tematica del socio temporaneo, che differisce in modo sostanziale dal ruolo dell’investitore in società chiuse (a cui invece preme particolarmente la crescita aziendale perché corrisponde a una rispettiva crescita dei suoi guadagni), esistono investitori che si occupano specialmente di operazioni di private equity, in cui vengono previsti degli obiettivi da raggiungere e che sono caratterizzate dal disinvestimento imminente a medio-breve termine, generalmente riassumibile nella durata di 5 anni circa.

Si capisce dunque l’importanza essenziale della possibilità di disinvestimento, che obbliga l’adozione, nel momento in cui vengano costituiti statuti o atti, dell’inserimento di clausole specifiche che lo riguardano, in modo da garantire all’investitore e all’imprenditore la cosiddetta way out. Questa viene garantita ricorrendo all’uso di alcuni strumenti come il riacquisto, da parte dell’azionista di maggioranza, della quota partecipativa, oppure attraverso la cessione dell’intero corrispettivo del capitale sociale a terzi, oppure quotando in borsa l’investimento.

Sono ovviamente diversificate le possibilità di uscita da un investimento, e non sempre la stessa è totale, bensì talvolta si può ricorrere a disinvestimenti parziali, in cui l’investitore cede solo una parte delle quote azionarie di cui dispone.

Allo stesso modo in cui sono presenti delle clausole di way out, similmente talvolta, per la buona riuscita di un investimento, si ricorre alla creazione di clausole di lock up, ovvero che impediscano ad alcuni soci (con un know how specifico o soci di maggioranza) di cedere le proprie quote per un periodo di tempo ben definito. Questo vincolo di mancata fuori uscita si sofferma generalmente sul raggiungimento di alcuni obiettivi, sia qualitativi che quantitativi, previsti nel business plan. Nel momento in cui si crea una situazione di collaborazione col management vanno di conseguenza definiti accordi che ne descrivano le modalità e i vincoli, esposti generalmente in una scrittura privata tra le parti. Possono essere accordi che incentivano la partecipazione consistente del manager, con obiettivi “a provvigione” in base ai risultati che vengono ottenuti, ad esempio l’attribuzione di un maggior numero di quote al corrispettivo della medesima somma di denaro se questi obiettivi vengono raggiunti.

Qualora vengano quindi fissati degli obiettivi e questi vengano raggiunti (o contrariamente non si riescano a realizzare), il prezzo di cessione potrebbe essere difficile da valutare e bisogna quindi ricorrere a un accordo conciliativo che metta entrambe le parti in condizione di proseguire con l’operazione. Queste eventualità vengono comunque affrontate in uno stadio iniziale di negoziazione, perché l’elemento di potenziale rottura fra investitore e imprenditore potrebbe avvenire proprio in questa fase preliminare, atta anche ad evitare successive divergenze di idee, le incognite vengono quindi discusse prima.

Ci sono diverse variabili che possono inoltre condizionare la modalità di cessione, e riguardano i soggetti destinatari delle quote; possono essere quindi create delle clausole di prelazione dove si vincola l’investitore alla cessione interna con prelazione su quella a terzi, clausole di drag along in cui qualora il socio di maggioranza riceva una offerta da un terzo, viene necessariamente coinvolto un ulteriore socio nella cessione delle quote (mantenendo le condizioni di acquisto), oppure clausole di tag along in cui qualora un socio ceda la propria quota a un terzo, deve garantire che questo soggetto compri anche la quota di un altro socio.

Qualora la vendita resti interna e non rivolta a terzi, si andranno a definire le cosiddette opzioni put, che prevedono delle conditio sine qua non grazie alle quali la vendita si struttura in una precisa modalità definita da un accordo.


 

OPZIONI ALTERNATIVE PER I FINANZIAMENTI

By | economia-finanza | No Comments

Qualora un’azienda si trovasse nel bisogno di ottenere un finanziamento, sarebbe la banca il primo istituto di credito a cui penserebbe di rivolgersi. Ma quali sono le alternative a disposizione nel mondo finanziario ad oggi?
A causa della sempre maggiore richiesta di fondi da parte delle società e della conseguente minore disponibilità bancaria nell’erogazione, il Governo italiano ha acconsentito ad una serie di cambi legislativi perché fosse più semplice poter garantire del credito.
In questo modo, nel panorama delle erogazioni si sono immessi anche i fondi, diversamente sottoposti a legislazione a seconda della provenienza italiana o estera.

Le regolamentazioni affinché si possa far parte dello scenario sono tuttavia piuttosto stringenti per i fondi italiani e non tutti i fondi comuni possono parteciparci, bensì solo i “fondi di investimento alternativi (FIA) chiusi, riservati o meno ad investitori qualificati”, a ciò si aggiunge anche una necessaria diversificazione degli investimenti, in modo tale da consentire una più corretta gestione del portafogli, limitando a una quota pari al 10% l’erogazione consentita verso uno stesso ente. Un altro paletto nella gestione dell’operazione consiste nel fatto che il finanziamento non può eccedere la durata del fondo stesso; questo un chiaro provvedimento volto alla tutela dei quotisti del fondo che, al suo termine, ricevono indietro il denaro investito e i proventi delle differenti operazioni, evitando che si crei uno squilibrio nel processo di ridistribuzione del denaro. È inoltre richiesta la partecipazione dei fondi alla Centrale dei Rischi, in modo da garantire estrema trasparenza sulla posizione debitoria di quanti vengono coinvolti.

La normativa non è, tuttavia, altrettanto chiara quando si parla di fondi con sede all’estero. Ci sarebbero più norme di riferimento, non di facile consultazione, che, per via dell’estrema dispersività e opacità, potrebbero inibire le intenzioni di investimento da parte di un fondo non italiano. Si sente quindi la mancanza di una normativa esplicita.

Il fatto stesso di essersi mossi in questa direzione a livello legislativo e procedurale per ciò che concerne la disponibilità di erogazione del credito consente anche alle aziende stesse di arginare e non incrementare un fenomeno potenzialmente pericoloso come quello dello shadow banking system, e quindi il ricorso a soggetti che non sono strettamente qualificati come professionisti della finanza o intermediari bancari, ma dispongono in qualche modo delle risorse sufficienti per effettuare un’operazione del genere, senza però garantire quella messa in sicurezza necessaria sia per la parte richiedente che per la parte creditrice.

Altre alternative di finanziamento per le aziende potrebbero essere rinvenute nell’emissione di obbligazioni corporate, che vengono sottoscritte da investitori quali ad esempio fondi di private debt, e in corrispondenza del credito ricevuto vengono emesse delle cedole periodiche, stimate sulla base di rischio d’impresa che deriva dalla società che le emette.

Altre possibilità sono da ravvisare nelle obbligazioni convertibili, oppure in strumenti ibridi che ricordano delle obbligazioni in cui chi emette il credito acquisisce il diritto di partecipazione agli utili, ma senza entrare nella compagine societaria.

Un’altra metodologia che sta prendendo piede in Italia è quella invece del crowlending, in cui, attraverso delle piattaforme online, le aziende vengono messe in contatto con diversi enti creditori (da fondi a persone fisiche private) che con rapidità di risposta riescono e istituire diverse pratiche. Stessa cosa per quanto concerne l’invoice trading, sistema attraverso il cui la società beneficia del pagamento anticipato di alcune fatture.

Il sistema del credito sta dunque subendo una costante evoluzione, in accordo alle crescenti esigenze sia dei creditori che dei finanziatori, andando a modellare un sistema in costante mutamento.